La trasformazione dei social network

JJ Ying

La crisi di Facebook e di Twitter fa pensare che sia giunta la fine di un mondo, ma è davvero così? E cosa ci può suggerire l’ascesa di TikTok? Un’analisi della radicale trasformazione che sta avvenendo nel mondo dei social.

da Quants numero 0, febbraio 2023

Era il 2016 quando Facebook, per la prima volta, si accorse di una dinamica pericolosa: la frequenza con cui gli utenti del social network condividevano contenuti personali continuava a scendere. Opinioni sulla polemica del giorno, fotografie delle vacanze, ricordi nostalgici in cui taggare qualche amico, video di matrimoni e tutto ciò che, agli inizi dell’epoca social, era l’assoluto protagonista dei contenuti pubblicati su Facebook stava diventando merce sempre più rara.

Al loro posto, gli utenti – che all’epoca avevano da poco superato il miliardo e mezzo – si limitavano sempre più spesso a condividere link di articoli online (e altri contenuti esterni al social network) o a seguire le loro pagine Facebook preferite: di sport, di meme, di moda, di cultura, scienza o qualunque altra cosa.

Una modalità di fruizione molto pericolosa per i proprietari della piattaforma: i contenuti personali e intimi sono infatti quelli che generano il maggior tasso di engagement (pensate a quanti like e commenti riceve il post in cui si annuncia, per esempio, l’arrivo di un bebè), massimizzando quindi la partecipazione degli utenti e di conseguenza la loro permanenza sulla piattaforma. Due elementi – partecipazione e permanenza – fondamentali per ogni social, che attraverso di essi impara a conoscerci sempre meglio e ci espone per il maggior tempo possibile ad annunci personalizzati.

Facebook reagì a questa pericolosa dinamica con l’unica arma a sua disposizione: favorì ancora di più la visibilità dei post personali, “premiando” così gli utenti che li pubblicavano attraverso un numero maggiore di like, commenti e condivisioni. Allo stesso tempo, la piattaforma fondata nel 2004 da Mark Zuckerberg decise di ridurre ulteriormente la visibilità delle pagine di quotidiani, associazioni e simili, che – tramite i link pubblicati – rischiavano addirittura di portare gli utenti al di fuori della piattaforma.

La reazione di Facebook era però strettamente ingegneristica: di fronte a una riduzione dei contenuti più graditi, ci si limitava a modificare l’algoritmo per incentivare gli utenti a pubblicarli comunque. Ma perché stava avvenendo tutto ciò? Qual è la ragione profonda per cui le persone stavano smettendo di condividere materiale personale? Due ricercatori accademici, Jenny L. Davis e Nathan Jurgenson, sono stati tra i primi a indagare questo fenomeno, pubblicando nel 2014 un paper intitolato Il collasso del contesto, in cui spiegavano come, sui social, i confini della nostra vita privata, professionale, famigliare e quant’altro collassano in un amalgama indistinto.

In poche parole, su Facebook si fondono contesti molto diversi della nostra vita: tra i nostri contatti annoveriamo colleghi, amici che frequentiamo regolarmente e altri che non vediamo da una vita, parenti vicini e distanti, ex compagni di scuola, persone appena conosciute e altri ancora. Come si può, in una situazione di questo tipo, condividere opinioni, video e altri contenuti personali sapendo che raggiungeranno persone così differenti? Ha senso pubblicare il video di una vecchia festa con amici sapendo che la vedranno anche i colleghi? E perché dovrei esprimere un’opinione politica rischiando di trovarmi a discutere con una prozia che conosco a malapena?

Qual è la ragione profonda per cui le persone stavano smettendo di condividere materiale personale?

Se nella vita offline tutte queste sfere restano distinte – permettendo di comportarci in maniera diversa se ci troviamo tra amici, parenti, colleghi o altro – sui social network questi contesti differenti collassano, creando un ambiente eccessivamente eterogeneo e in cui è impossibile assumere un’unica personalità che possa adattarsi a tutti. È questo che ha causato il calo nella condivisione di contenuti personali osservata da Facebook.

Da allora, il mondo dei social ha gradualmente portato a maturazione un cambiamento per certi versi inevitabile e che è esploso in tutta la sua evidenza proprio negli ultimi anni, infiammando il dibattito sulla “fine dei social network”. In che cosa consiste? Essendo, come vedremo, un tema strettamente collegato al collasso del contesto, all’origine di questo dibattito troviamo sempre Facebook, che oggi è invece alle prese con i primi segni di declino in termini di numeri assoluti.

Lo scorso febbraio Facebook faceva infatti registrare, per la prima volta nella sua storia, una riduzione del numero complessivo di utenti. È un calo limitato a circa 50 milioni di persone, ma dal punto di vista simbolico è estremamente significativo: segnala infatti la fine dell’espansione globale e inarrestabile del social network più grande del mondo. Da un certo punto di vista, era inevitabile che prima o poi giungesse questo momento: oggi Facebook vanta qualcosa come 2,9 miliardi di utenti attivi mensilmente, su un totale di 4,6 miliardi di abitanti del pianeta Terra connessi a internet.

Facebook è quindi riuscito in un’impresa straordinaria: ha esaurito (o quasi) gli utenti che poteva raggiungere. Questo però è soltanto uno – e sicuramente il più lusinghiero – dei vari elementi che spiegano il lento declino del social network. Prima di tutto, l’utenza di Facebook sta invecchiando rapidamente senza che la piattaforma di Zuckerberg riesca ad attirare a sé nuovi giovani. Facebook, come si sente dire sempre più di frequente, è ormai un “social per vecchi”. I numeri lo dimostrano: se nel 2014 il 71% degli utenti statunitensi di Facebook (ma i numeri sono simili anche in Europa occidentale) aveva tra i 13 e i 17 anni, oggi questa percentuale è crollata al 32%. 

La combinazione di calo e invecchiamento degli utenti è micidiale per un social network, anche perché lo pone di fronte a una possibile – anche se magari lontana – scomparsa: lo stesso destino, d’altra parte, già toccato a piattaforme pionieristiche come Myspace o Netlog. La notizia peggiore per Meta (il nuovo nome della società di Zuckerberg) è però che a mostrare i primi scricchiolii è anche Instagram, il social che negli ultimi anni è stato il vero motore della crescita della società (proprietaria anche di Whatsapp e di Oculus, produttore di visori per la realtà virtuale).

Un documento svelato nell’ambito dei cosiddetti Facebook Papers (le rivelazioni emerse grazie alla fonte interna Frances Haugen) mostrava come la quantità di contenuti postata dagli adolescenti su Instagram fosse scesa del 13% nel giro di un solo anno. Non solo: oggi gli utenti trascorrono in media 28 minuti al giorno su Instagram, una cifra che è quasi la metà rispetto ai 52 minuti del più temuto concorrente di Instagram e Facebook, vale a dire TikTok – il social network più amato dai giovanissimi di tutto il mondo, che ha da poco superato 1,4 miliardi di utenti e il cui fatturato nel 2022 ha raggiunto i 12 miliardi di dollari (+200% rispetto all’anno precedente).

Ma se un social network come TikTok sta crescendo a velocità impetuosa, che senso ha parlare di fine dei social network? In realtà, TikTok è una piattaforma completamente differente rispetto a Facebook e Instagram (già tra loro molto diversi), e per certi versi rovescia completamente il meccanismo di questi strumenti. Altro che “rete sociale” a cui tutti partecipano: su TikTok si stima che oltre due terzi degli utenti non abbia mai pubblicato nulla, limitandosi invece a consumare il materiale prodotto da creator professionisti e aspiranti tali. Come ha scritto sul New York Times l’esperto di media Ben Smith, “TikTok mette in mostra un flusso ininterrotto di video e, a differenza dei social network che sta rapidamente sostituendo, ha una funzione più di intrattenimento che di connessione con gli amici”.

È in questo senso che l’era dei social per come li abbiamo finora conosciuti si sta chiudendo: la fruizione della piattaforma oggi in ascesa è principalmente passiva e ricorda più una sorta di piccola televisione molto accelerata e formato smartphone di quanto non ricordi il classico utilizzo dei social network così come li avevamo conosciuti. Allo stesso tempo, anche su Twitter (che però segue logiche parzialmente differenti), Instagram e in misura minore Facebook, a essere molto attivi nella condivisione di contenuti sono soprattutto personalità pubbliche, celebrità, influencer e creator. In poche parole, a causa del collasso del contesto gli utenti normali si limitano a scrollare, mentre a produrre i contenuti è soltanto chi ha interesse a raggiungere un pubblico il più ampio possibile per motivi professionali (o comunque di personal branding).

Normalizzare questa modalità di fruizione è stata una delle più importanti innovazioni di TikTok, che oggi – in un processo noto infatti come “tiktokizzazione” – sta venendo rapidamente clonato da Instagram e Facebook, nel tentativo (disperato) di tenere il passo e di non perdere completamente l’utenza più giovane.

È quindi davvero la fine dei social? Ci siamo definitivamente stufati di litigare con sconosciuti su Facebook e di vedere su Instagram le foto delle vacanze dei vecchi compagni di classe? Probabilmente sì, soprattutto nel momento in cui – proprio a causa del collasso del contesto – questi contenuti provengono da persone con cui, nella vita quotidiana, non abbiamo nulla a che fare e di cui quindi ci interessa poco.

A causa del collasso del contesto gli utenti normali si limitano a scrollare, mentre a produrre i contenuti è soltanto chi ha interesse a raggiungere un pubblico il più ampio possibile per motivi professionali.

Tutto questo, però, non significa che sia venuta meno la voglia di condividere materiale interessante, di scambiare opinioni, fotografie, video o meme con gli amici. Semplicemente, oggi c’è la volontà di svolgere queste attività all’interno di gruppi online maggiormente omogenei e dove quindi possiamo comportarci in maniera più spontanea, al riparo da sguardi sgraditi. Una ricerca dell’agenzia ZAK ha effettivamente mostrato come oggi il 60% degli under 30 preferisca comunicare tramite messaggi privati invece che sui feed pubblici dei social network. “Dopo anni trascorsi a costruire delle identità online attentamente curate e ad accumulare contatti, gli utenti più giovani dei social network sentono il bisogno di tornare a essere se stessi”, ha scritto la Harvard Business Review.

In sintesi, a seconda che ci si voglia radunare con amici stretti o sulla base degli interessi condivisi, l’attività che un tempo avveniva sulla piazza di Facebook sta gradualmente traslocando nei gruppi chiusi di Whatsapp, sui canali di Telegram o sui server di Discord (piattaforma con oltre 200 milioni di utenti). E così, invece di dover comunicare in una volta sola con parenti, amici, colleghi e persone con cui condividiamo passioni comuni, oggi si preferisce creare gruppi online separati a seconda della cerchia di riferimento. È per questa ragione che, nel mondo anglosassone, queste piattaforme di messaggistica sono state ribattezzate “digital campfire” (falò digitali): luoghi intimi e riservati da condividere con persone fidate.

Per molti versi, quindi, non siamo di fronte alla fine dei social network, ma a una loro trasformazione. Anzi, a una liberazione da logiche che costringevano gli utenti ad assumere un’impossibile personalità monodimensionale che andasse bene in qualunque situazione. Grazie ai falò digitali, oggi il mondo online sta diventando un luogo più spontaneo e più libero. Dove possiamo comportarci in maniera sempre più simile a come avviene nel mondo reale.

Giornalista classe 1982, si occupa del rapporto tra nuove tecnologie, politica e società. Scrive per Wired, Domani, Repubblica, Il Tascabile e altri. È autore del podcast "Crash: la chiave per il digitale" (Vois Network).