Con la pubblicazione di Noia terminale di Suzuki Izumi per Add editore, arriva finalmente in traduzione italiana un’opera imprescindibile della fantascienza speculativa giapponese. Sette racconti scritti tra il 1977 e il 1984 che mostrano la visionarietà di un’autrice di culto che a trentasei anni decise di abbandonare la terra.
Nonostante si sia tolta la vita nel 1986, la scrittrice giapponese di fantascienza Suzuki Izumi sembra continuare a scrivere ancora oggi da un’altra dimensione, dal futuro. Del resto era proprio lei a contemplare viaggi nel tempo, esseri immortali e altri scorci del fantastico senza tuttavia mai perdere il contatto con la realtà, e anzi: standosene con i piedi ben piantati a terra. Per tutti coloro che negli anni Ottanta si sono formati dal punto di vista culturale e politico con il cyberpunk, o per quellǝ che hanno frequentato intensamente la produzione artistica e letteraria femminista, il nome di Suzuki Izumi potrebbe rappresentare ancora un’evidente lacuna. È un peccato, perché in quel territorio sotterraneo pronto a eruttare con tutta la sua carica rivoluzionaria, il nome di Suzuki non occupa una posizione laterale, ma rappresenta invece un punto cardinale per orientarsi attraverso una mappa complessa. Certo, la distanza linguistica per un lunghissimo lasso di tempo ha reso difficile se non impossibile avvicinarsi alla sua produzione, se non in tempi tutto sommato recenti, quando alcune case editrici occidentali hanno iniziato a tradurre in inglese i suoi scritti, e oggi anche il pubblico italiano grazie al lavoro di Add editore può accostarsi a brani fondamentali di fantascienza e inquieto femminismo.
Nonostante si sia tolta la vita nel 1986, la scrittrice giapponese Suzuki Izumi sembra continuare a scrivere ancora oggi da un’altra dimensione.
È stato infatti pubblicato pochi mesi fa Noia terminale (traduzione dal giapponese di Ozumi Asuka), il primo di una trilogia di volumi che introduce in Italia l’opera della scrittrice (al momento dell’uscita di questo articolo troverete già sugli scaffali anche il successivo Hit parade di lacrime), vera icona della controcultura giapponese negli anni Settanta e Ottanta. Izumi lavorò dapprima come attrice negli ambienti dell’underground, partecipando a performance dal vivo, ma la sua immagine e il suo corpo sono apparsi a un più vasto e per lo più inconsapevole pubblico negli scatti erotici del fotografo Nobuyoshi Araki che l’ha immortalata più volte nella sua compulsiva opera fotografica, così come (sotto lo pseudonimo di Naomi Asaka) in pellicole di genere pinku eiga del regista Kōji Wakamatsu, film erotici che ebbero un ruolo tutto loro nel riscrivere parte dell’industria cinematografica giapponese e più in generale dell’immaginario sessuale nipponico.
Noia terminale rappresenta un battesimo perfetto ai mondi vissuti da Suzuki, dove si possono ravvisare tutti le qualità della sua scrittura: diretta, intransigente e insieme visionaria, con un gusto per l’assurdo in parte comune ad alcuni altri autori a lei coevi, tra arti visive e cinema, della sua generazione. Addentrandosi nelle sue opere si familiarizza velocemente con ambienti popolati da emarginati, figure solitarie e atipiche femme fatale, extraterrestri, trafficanti intergalattici di animali e teenager killer dotati di poteri ESP: «Alcuni squilibrati pensano di vivere in un mondo di fantascienza», si dice a un certo punto. Più che una battuta, una lucida presa di coscienza della propria alterità, di un punto di vista che è tale proprio perché è alieno a ogni “equilibrio” sociale comunemente inteso.
Noia terminale rappresenta un battesimo perfetto ai mondi vissuti da Suzuki, dove si possono ravvisare tutti le qualità della sua scrittura: diretta, intransigente e insieme visionaria.
Aveva 19 anni Suzuki Izumi quando dall’altra parte dell’oceano un’altra scrittrice e attivista, Valerie Solanas, entrò nella Factory e sparò ad Andy Warhol, un gesto scomposto, eclatante che in un certo senso affievolì il portato incendiario del suo SCUM Manifesto, scritto nel 1967 e pubblicato in quello stesso anno, dove leggiamo: «In questa società la vita, nel migliore dei casi, è una noia sconfinata e nulla riguarda le donne: dunque, alle donne responsabili, civilmente impegnate e in cerca di emozioni sconvolgenti, non resta che rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario, istituire l’automazione globale e distruggere il sesso maschile».
In parte lontana dall’estremismo di Solanas, la letteratura di Suzuki non è tuttavia estranea a violente rappresentazioni di annichilimento del corpo maschile, con la differenza che il portato politico e lo spirito selvaggio e inquieto del femminismo di Suzuki si esprimono attraverso il fantastico e l’assurdo (un marito infedele viene trasformato in una striscia di carne essiccata).
Addentrandosi nelle sue opere si familiarizza velocemente con ambienti popolati da emarginati, figure solitarie e atipiche femme fatale, extraterrestri, trafficanti intergalattici di animali e teenager killer dotati di poteri ESP.
Noia terminale annovera sette racconti pubblicati tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta: “Un mondo di donne e donne” (Onna to onna no yononaka, 1977), “You May Dream” (Yu mei dorimu, 1981), “Picnic notturno” (Yoru no pikunikku, 1981), “Ricordi al Seaside Club” (Omoide no shisaido kurabu, 1982), “Fumo negli occhi” (Kemuri ga me ni shimiru, 1979), “Dimenticato” (Wasureta, 1977) e infine il racconto che dà il titolo all’intero volume, “Noia terminale”, appunto. L’antologia condensa temi dirompenti spaziando tra femminismo radicale, fluidità di genere, alienazione sociale e il rapporto inquietante tra tecnologia e umanità e soprattutto, custodisce quello che, col senno del poi, ci appare oggi come il migliore dei mondi possibili, quello immaginato in un’utopia lesbo-matriarcale.
Per comprendere meglio l’opera di Suzuki, è essenziale esplorare la sua biografia e la sua formazione. La scrittrice giapponese è cresciuta nel fervore di un Giappone che si trovava a cavallo tra l’eredità della Seconda Guerra Mondiale e i fermenti del post-guerra. La sua formazione accademica in filosofia, unita alla sua passione per la scienza sociale, le ha conferito una visione critica delle dinamiche politiche e culturali della sua epoca. Suzuki è stata influenzata dai grandi pensatori della filosofia esistenzialista europea, come Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, ma anche dalle scritture di autori giapponesi come Kōbō Abe e Yukio Mishima, noti per il loro interesse per la condizione alienata dell’individuo e per la critica alle strutture di potere.
La letteratura di Suzuki non è estranea a violente rappresentazioni di annichilimento del corpo maschile, e il portato politico e lo spirito selvaggio e inquieto del femminismo di Suzuki si esprimono attraverso il fantastico e l’assurdo.
Sebbene Suzuki abbia raggiunto una certa notorietà, è sempre stata una figura enigmatica, poco incline a rilasciare interviste o a partecipare alla vita pubblica ed è davvero difficile, ancora oggi, recuperare dichiarazioni e articoli che pure l’autrice ha lasciato dietro di sé durante il suo percorso umano e artistico. La sua carriera letteraria, che si è sviluppata prevalentemente negli anni Settanta e Ottanta, ha visto un costante rifiuto delle convenzioni sociali e una preferenza per tematiche che sfidano le letture superficiali della realtà; la sua vita privata, segnata da una relazione tossica con il sassofonista Karou Abe, conoscerà vari spirali tragiche che sostanzialmente porteranno alla distruzione dei corpi di entrambi. Anche per questo, la sua scrittura si distingue per una costante tensione tra il desiderio di libertà e la consapevolezza che l’individuo è intrappolato in una rete di influenze esterne e forze incontrollabili. Questo conflitto è centrale in Noia terminale, in cui il futuro, pur essendo lontano, sembra essere la continuazione naturale della crisi sociale del Giappone degli anni Sessanta e Settanta, un periodo segnato da un’esplosione di movimenti di protesta e da un crescente disincanto verso le istituzioni.
Ad aprire la raccolta è “Un mondo di donne e donne”, un racconto che mette subito in chiaro la visione di Suzuki: con un attacco fulminante, l’autrice ridisegna la storia dell’umanità come una lotta tra i sessi portata alle estreme conseguenze. La narrazione si apre con una rivelazione inquietante e beffarda: «Questa mattina davanti a casa è passato un ragazzo. Quando glielo racconto, mia sorella Asako dice: “Idiota, lo sai che qui non ce ne sono”. In effetti ha ragione. Molto tempo fa sulla Terra c’erano solo le donne. Vivevano in pace, finché una partorì una creatura mai vista prima, con il corpo deforme e modi tanto rozzi da risultare fastidiosi. Morì, non prima di aver dato alla luce una progenie: ebbe così inizio la stirpe degli uomini. Con il tempo gli uomini divennero sempre più numerosi, e furono loro, senza dubbio, a inventare la guerra e tutti gli strumenti connessi. Ma la cosa peggiore fu che cominciarono a dilettarsi con certe nozioni a cui dedicavano la propria esistenza: la rivoluzione, il lavoro, l’arte e così via. Sprecavano le energie in idee astratte, arrivando persino a sostenere che quella era la caratteristica più straordinaria degli uomini: la passione ardente per l’avventura e il romanticismo, e tutta un’altra serie di cose che, nella quotidianità, non servono a un bel niente. Bambini pur essendo adulti, apparentemente complessi ma in realtà semplici: gli uomini erano creature davvero incontrollabili.»
In poche righe, Suzuki spalanca l’immaginazione del lettore su un mondo lesbo-matriarcale dove gli uomini sono relegati al passato, visti come un’aberrazione biologica e una forza distruttiva per la civiltà. La descrizione asciutta e tagliente del racconto rovescia i tradizionali rapporti di potere, immaginando una società in cui le donne hanno costruito una realtà pacifica e autosufficiente, priva di conflitti e alimentata da un’etica collaborativa. Tuttavia, questa utopia non è immune da tensioni: il ritorno inatteso di un ragazzo scatena un corto circuito emotivo e sociale che mina la stabilità del sistema, spingendo il racconto verso un finale denso di ambiguità.
L’antologia condensa temi dirompenti spaziando tra femminismo radicale, fluidità di genere, alienazione sociale e il rapporto inquietante tra tecnologia e umanità.
Suzuki ha saputo costruire una carriera letteraria che sfida le convenzioni del genere e, al contempo, esplora le paure più profonde legate alla condizione umana. Di racconto in racconto si tratteggia un quadro insieme distopico e salvifico: Suzuki non solo ha creato mondi futuristici, ma ha anche smascherato le dinamiche più oscure e tuttora attive della società patriarcale, dei limiti della politica, e minato alle basi il valore dogmatico di alcune espressioni culturali.
La sua scrittura, attiva, diretta, è innervata dalla costante e forte critica al potere maschile, che se oggi ci appare ancora l’elemento centrale e apparentemente inscalfibile delle strutture di potere mondiali, possiamo solo immaginare come potesse apparire a una giovane donna nata nel 1949 in una società come quella giapponese. In racconti come “Ricordi al Seaside Club” emergono, tra le altre cose, temi come l’omogeneizzazione delle identità e la crescente disconnessione tra individuo e società – l’approccio di Suzuki si colloca all’incrocio tra fantascienza sociale e speculazione filosofica, due tradizioni che di rado sono così intimamente legate l’una all’altra.
Al centro di Noia terminale c’è una visione del futuro in cui la società è divisa in due mondi radicalmente separati: uno maschile, relegato in zone marginali e degradate, e uno femminile, in cui le donne vivono in una società che sembra aver risolto il problema del patriarcato. Questo mondo utopico, però, è ingabbiato in una serie di paradossi e contraddizioni che emergono attraverso la trama e scuotono il lettore, invitandolo a riflettere sulla possibile instabilità di qualsiasi ordine sociale. La fuga di un giovane da questa utopia, che irrompe nel sistema stabilito e sconvolge gli equilibri, è l’elemento che innesca la crisi del mondo femminile e la distruzione della sua apparente perfezione.
Il tema della fuga e dell’evasione è fondamentale: Suzuki ci racconta di un mondo apparentemente perfetto, ma che, come tutte le utopie, è destinato a essere insostenibile. Le donne, pur avendo ottenuto una posizione di potere, non riescono a sfuggire a una dinamica di dominio che, pur avendo cambiato forma, è comunque presente. Questo rimanda a una riflessione più ampia sull’impossibilità di creare una società priva di conflitti di potere. Le gerarchie sociali, infatti, sono talmente radicate nel tessuto umano che si riproducono inevitabilmente, anche nelle realtà più progressiste.
Nel mondo immaginato da Suzuki, la criogenesi diventa uno dei meccanismi centrali per il controllo della natalità e della riproduzione, ma anche un simbolo dell’alienazione del corpo. I cittadini vengono estratti a caso dalla popolazione e sottoposti a congelamento, per essere successivamente risvegliati nei sogni di una persona prescelta. Questo processo di estraniazione totale dal proprio corpo e dalla propria vita è l’elemento che più di ogni altro esplora la condizione di impotenza dell’individuo di fronte a un sistema che ne controlla ogni aspetto, riducendo l’esperienza della vita a un succedersi di sogni e illusioni imposti dall’esterno. Letti oggi, in una prospettiva che vede l’avanzare del transumanesimo non come immaginario letterario, ma come vero e proprio convincimento dei padroni della terra e della tecnologia nel controllo totale della vita, le pagine che Suzuki ci ha lasciato, più che suonare profetiche, rivelano forse la sensibilità fuori dal comune dell’autrice nel percepire e immaginare il futuro dei corpi.
La sua scrittura si distingue per una costante tensione tra il desiderio di libertà e la consapevolezza che l’individuo è intrappolato in una rete di influenze esterne e forze incontrollabili.
Al cuore della narrazione si trova la riflessione sulla noia. Per Suzuki, la noia non è solo un sintomo di un’epoca priva di stimoli, ma una malattia psicologica ed esistenziale che divora l’individuo, rendendolo incapace di agire, di evolversi, di reagire. I giovani protagonisti delle sue storie sono spinti a cercare una soluzione a questa condizione attraverso tecniche invasive, come l’impianto di elettrodi nel cervello, che servono a stimolare il piacere artificiale. L’automazione delle emozioni, che Suzuki rappresenta attraverso queste pratiche chirurgiche, è il simbolo della spersonalizzazione e dell’annientamento dell’individualità. La società che Suzuki immagina è incapace di riconoscere l’importanza dell’esperienza umana autentica e immediata: la felicità, o almeno il sollievo dalla sofferenza, deve essere imposta, iniettata nel corpo con metodi scientifici, come se il dolore e la noia fossero malattie da curare con un trattamento medico.
La noia, dunque, non è solo un tema filosofico, ma anche prodotto di una società che standardizza e consuma l’esperienza umana. Suzuki espone con lucidità la fragilità dell’individuo di fronte alla potenza delle forze sociali ed economiche che cercano di ridurre l’essere umano a una mera macchina produttiva, senza emozioni e senza desideri genuini. L’intervento fisico sul corpo umano che emerge nel racconto diventa la risposta radicale di una società che ha rinunciato a trovare un senso autentico per l’esistenza.
In uno degli episodi finali, un gruppo di individui, gli ultimi sopravvissuti su un pianeta devastato, si esercita nel cambiare i propri ruoli di genere, cercando di adattarsi a un mondo che non esiste più. Questo esercizio diventa il simbolo della disintegrazione delle categorie tradizionali e della fine di ogni identità definita. In un mondo in rovina, i ruoli di mascolinità e femminilità non sono più fissati, ma si negoziano continuamente, a seconda delle necessità e delle situazioni. Suzuki, così, mette in discussione l’idea che il genere sia qualcosa di naturale e immutabile. In un contesto in cui ogni certezza è messa in crisi, la relatività dei ruoli di genere non fa che ribadire l’idea che tutto è costruito. Non è più possibile definire l’individuo attraverso i parametri che la società ha imposto: le identità di genere, in questo senso, sono solo uno degli strumenti con cui la società tenta di creare un ordine che, alla fine, è sempre destinato a sfaldarsi.
Che la lucida visionarietà di Suzuki Izumi fosse in realtà un potere sovrannaturale di guardare il presente dal futuro, o da una prospettiva extra-corporea? È un dubbio che leggendo quelle pagine si farà strada nella mente del lettore.