In “Eroi, mutanti, mostri & meraviglie”, pubblicato in Italia da Utet, l’autore statunitense racconta il suo percorso di lettura di tutti e 27mila i volumi pubblicati dalla Marvel. È anche un ottimo modo per avvicinarsi con spirito critico alle storie e agli eroi che dominano l’immaginario e la cultura popolare nel nuovo millennio.
Da tempo l’immaginario supereroistico Marvel ha smesso di presentarsi come una semplice questione da nerd per approdare alla dimensione della cultura popolare. L’esplosione dell’Universo Cinematografico Marvel ha fatto sì che i suoi personaggi arrivassero ovunque, dominando le sale fino a insinuarsi nei discorsi tra persone che non hanno mai aperto un fumetto in vita loro. Mentre ne viene decretata continuamente la crisi, i cinecomic rappresentano ormai un genere cinematografico a parte che, nella polarizzazione tipica dei nostri tempi, per alcuni addetti ai lavori tiene in piedi il cinema nel XXI secolo mentre per altri lo ha inevitabilmente danneggiato per sempre.
Comunque la pensiate, la storia del materiale di partenza dei cinecomic non è meno rilevante e affascinante della sua evoluzione su pellicola. Anzi, per dirla con il critico Douglas Wolk, questa storia è semplicemente cultura generale: conoscere i fumetti Marvel è come conoscere la Bibbia (non a caso, il Deadpool del film Deadpool & Wolverine del 2024 viene definito “il Gesù della Marvel”). È impossibile evitare di incappare anche solo nell’eco delle storie scritte da Stan Lee o dei personaggi disegnati da Kirby, Ditko o Buscema nel corso degli anni. Spider-Man, Hulk, gli X-Men e gli Avengers sono dappertutto – come minimo su zaini e diari dei nostri figli – e anche il multiverso è per così dire fuoriuscito dai fumetti, dove si è manifestato per la prima volta oltre quarant’anni fa, per approdare al cinema di supereroi e finire col contagiare anche film lontani dall’Universo Marvel (fruttando ad esempio ben sette statuette a Everything Everywhere All At Once agli Oscar del 2023).
Wolk è in grado di rendere quella che potrebbe apparire un’impresa da Guinness un’avventura e una lettura stimolante anche per chi ne legge il resoconto.
La storia dei fumetti Marvel non è dunque solo la fonte cui attinge continuamente, spesso rimescolando le carte, il relativo Universo Cinematografico, ma è anche una vicenda molto interessante di come un medium si sviluppa a partire da alcune premesse per finire, più o meno consapevolmente, da tutt’altra parte. Il libro Eroi, mutanti, mostri & meraviglie. Un viaggio mai tentato prima al cuore dell’universo Marvel dello stesso Douglas Wolk (edito da Utet, 2023, traduzione di Alfredo Goffredi) ripercorre questa storia a partire dall’impresa non meno gigantesca, rispetto a quelle di tanti supereroi, tentata dal suo autore: leggere tutti e 27mila i fumetti Marvel e provare a tracciare dei percorsi di lettura validi tanto per i lettori esperti che per i neofiti.
Non c’è dubbio che Wolk, docente di fumetto all’Università di Portland e attivo anche come critico musicale per diverse testate statunitensi (New York Times, Washington Post e Rolling Stone tra le altre), fosse la persona più adatta per questo tipo di impresa. All of the Marvels, questo il titolo originale del volume, esce negli USA nel 2022 per Penguin Random House e vince quello stesso anno il Premio Eisner per il miglior saggio sui fumetti, bissando così lo stesso riconoscimento ricevuto nel 2008 dal suo autore con Reading Comics: How Graphic Novels Work and What They Mean (2007, Da Capo Press). Ma al di là dei premi, Wolk è in grado di rendere quella che potrebbe apparire un’impresa da Guinness (o da semplice gradasso nerd) un’avventura e una lettura stimolante anche per chi ne legge il resoconto. Il suo tono e il suo stile non assumono mai il piglio accademico e neppure quello del critico letterario che, attraverso una sofisticazione della prosa, intende nobilitare in qualche modo la materia trattata per nobilitare anche sé stesso e ottenerne in qualche modo una rendita. Semplicemente, Wolk parte dall’assunto di cui sopra: il fumetto supereroistico americano è cultura popolare, vasta ed eterogenea, e provare a capirla al di là del nozionismo dei cosiddetti gatekeeper significa provare a capire qualcosa di più di ciò che siamo come occidentali.
Il fumetto supereroistico americano è cultura popolare, vasta ed eterogenea, e provare a capirla significa provare a capire qualcosa di più di ciò che siamo come occidentali.
Wolk si è insomma divertito un mondo a leggere i 27mila fumetti Marvel e restituisce questo divertimento in ogni capitolo: non mancano i paragrafi più puntuali (così come non mancano le numerose note a piè di pagina) e un impianto critico e teorico ben saldo, ma in generale l’impressione è quella di una scrittura generosa che ha a cuore la trasmissione più che l’idea di scrivere il testo definitivo su una materia così ampia e per molti versi difficilmente gestibile. Parliamo infatti di un corpus che, al di là dei numeri, ha iniziato a muovere i primi passi quasi un secolo fa, e per tutto questo tempo non ha fatto che espandersi in modo più o meno coerente attorno al concetto di continuity – ovvero il celebre “è tutto collegato”: le storie più urbane di Spider-Man o Daredevil potrebbero sempre avere un legame con quelle cosmiche di Avengers e Fantastici Quattro, e gli sconvolgimenti delle avventure dei mutanti possono trovare un collegamento nelle saghe più fantasy e horror cui pure la Marvel ci ha abituato con la costante presenza di demoni, vampiri e licantropi nei suoi albi.
In quasi un secolo di storia, ed è questo il punto che Wolk non manca mai di sottolineare, la Marvel non ha raccontato solo storie di supereroi in calzamaglia, ma anche quelle del mondo in cui vivevano i suoi lettori, delle sue svolte politiche e culturali, rispecchiandone nel bene e nel male lo Zeitgeist. In un albo Marvel preso a caso dal mucchio infinito di pubblicazioni è possibile trovare rappresentazioni retrograde e offensive nei confronti di una minoranza o di un gruppo etnico come pagine di grande spessore artistico, storie di rara matrice reazionaria o di pura propaganda militarista come interi archi narrativi che finiscono per definire politicamente un’epoca con qualche anno d’anticipo. È il caso per esempio di Dark Reign, che tra il 2008 e il 2010 mette in scena un’America totalitaria con i cattivi al potere e i supereroi sostituiti dalle proprie nemesi: l’evento editoriale sembra presagire l’arrivo di Donald Trump e dei populisti di destra al governo mentre tutti, negli USA come nel resto del mondo, sono intenti a celebrare il progressismo della presidenza Obama appena insediata.
Dai fumetti Marvel sono passati insomma i cambiamenti e le costruzioni sociali, le guerre, le tensioni internazionali, le accelerazioni tecnologiche e i sommovimenti psicologici di un Occidente che alla fine ha trovato nella figura del supereroe con superproblemi non solo l’archetipo giusto per raccontare l’antropocene e la volontà di dominare e superare la natura da parte della nostra razza, ma anche una nuova mitologia, il ravvivarsi dell’idea che non tutto sia spiegabile nella banalità del quotidiano, che ci sia sempre la necessità, conservata nei secoli e nei millenni, di sollevare gli occhi al cielo e trasfigurare le nostre vicende in qualcosa di più grande – a volte, anche solo di più fracassone o più strano.
La Marvel non ha raccontato solo storie di supereroi in calzamaglia, ma anche quelle del mondo in cui vivevano i suoi lettori, delle sue svolte politiche e culturali, rispecchiandone nel bene e nel male lo Zeitgeist.
Lo «strano» è probabilmente il macro genere in cui è possibile inserire tutto ciò che è stato prodotto dalla Marvel a partire dal 1961, anno d’esordio dei Fantastici Quattro e punto d’inizio della personale timeline di Wolk. Lo strano, il grottesco – il cosiddetto «weird», ben prima che andasse di moda nella saggistica para-letteraria o tra i democratici americani in campagna elettorale – come sintesi e rimescolio dei generi che dominavano il fumetto a stelle e strisce prima che s’imponesse quello supereroistico: il comico, l’avventuroso, l’horror e la soap opera. È qui la svolta popolare, secondo Wolk, che avviene appunto con le prime storie dei Fantastici Quattro, ossia le vicende di quattro superumani alle prese da un lato con divoratori di mondi venuti dallo spazio profondo, da un altro con le vicissitudini, le invidie e le gelosie di una famiglia normale. Il fumetto di supereroi inizia a trasformarsi così in un gigantesco mostro mutante che a sua volta divora generi e trame e li risputa sotto forma di qualcosa di nuovo, con tutt’altro che infrequenti cambi di registro e di tono (oltre che di costumi). In questo inedito impasto c’è sempre, al centro, un eroe che viene mutilato dall’acquisizione dei poteri, il cui utilizzo a fin di bene è una grande responsabilità, com’è noto, ma anche un grande sacrificio. È questa novità che, pur affrontando crisi e tempi di magra e conoscendo tantissimi alti e altrettanti bassi dal punto di vista creativo, rappresenta la costruzione di un immaginario in grado di influenzare le vite di tantissimi lettori e di farsi cultura popolare decisamente trasversale e globale.
Nella trattazione di Wolk tutto diventa parte di questa storia, persino i paratesti degli albi e le lettere dei fan – molto spesso futuri autori Marvel – che protestano ad esempio per la raffigurazione dei personaggi orientali negli albi di Masters of Kung Fu pubblicati nella seconda metà degli anni Settanta. Non solo, anche le svolte e le dinamiche produttive, distributive e commerciali fanno parte della storia, con i continui azzeramenti delle testate o i grandi eventi crossover che anticipano con almeno vent’anni l’idea del grande mosaico cinematografico Marvel e che, in fin dei conti, servono semplicemente a vendere più fumetti come, in seguito, a portare più gente al cinema.
La consapevolezza che di base il materiale prodotto da Marvel Comics sia spesso di bassa levatura artistica, o addirittura apertamente infantile (non solo nei primissimi albi), è sempre presente nel testo di Wolk: «L’intera struttura si regge su una catasta fatiscente fatta di intrattenimento fiacco e triviale, concepito per i figli del boom economico», ma a detta dello stesso critico questo non ne inficia affatto la rilevanza. Al contrario, «trascorrere molto tempo in questa realtà può renderci più preparati a vivere meglio in quella vera: più curiosi di capire come sistemi diversi riescano a funzionare insieme; più desiderosi di esplorare ciò che ancora non comprendiamo; più speranzosi anche di fronte alle catastrofi; e, infine, più consapevoli del fatto che anche se la vita può pesare come un macigno sulle nostre spalle, è solo parte di un quadro molto più ampio».
Il fumetto di supereroi inizia a trasformarsi così in un gigantesco mostro mutante che a sua volta divora generi e trame e li risputa sotto forma di qualcosa di nuovo, con tutt’altro che infrequenti cambi di registro e di tono.
La posta in gioco, dunque, è alta, a maggior ragione perché la diffusione dell’immaginario Marvel conosce oggi una portata gigantesca, al di là dello stato di salute delle singole opere e dei singoli franchise. Questo successo, per Wolk, è inevitabilmente parte integrante dei motivi d’interesse per la materia: «Una delle cose che la mia formazione da critico di musica pop mi ha insegnato è che se un’opera d’arte di qualunque genere diventa famosa, significa che è in grado di attirare l’attenzione del pubblico, di soddisfare i suoi ascoltatori o lettori come altre cose, anche simili, non riescono a fare», e poi ancora, in una nota che allarga il discorso in modo piuttosto interessante: «Un argomento che sento tirare in ballo di tanto in tanto è che il successo di pubblico nel mondo della cultura ha solo a che fare con quello che le grandi aziende vogliono dare in pasto alle persone. Certo, il supporto della macchina capitalista può senz’altro aiutare un certo tipo di arte a raggiungere il suo pubblico, ma tutto il denaro del mondo non potrebbe rendere un successo qualcosa che nessuno vuole». Citando W.H. Auden: «Alcuni libri sono ingiustamente dimenticati; nessun libro è ingiustamente ricordato».
Questa schiettezza, consapevole del valore come dei limiti dello sterminato corpus di opere Marvel, è probabilmente tra i punti forti di Eroi, mutanti, mostri & meraviglie: oltre la magniloquenza degli annunci del prossimo film con Robert Downey Jr., oltre l’eccitazione continua da hype e da spoiler, oltre le centinaia di migliaia di pagine web dedicate a pettegolezzi e inutili voci di corridoio prodotte da intelligenze artificiali, l’approccio critico di Wolk è una bussola per orientarsi in un universo che, quando coincide con il nostro, produce sì cultura e immaginario, ma anche alienazione da intrattenimento martellante, fruito passivamente, che risponde alle logiche binarie di qualsiasi altra cosa raccontata negli ambienti digitali. In altre parole, anche quando racconta storie ben scritte e avvincenti – giova ribadire che non sempre è così, sia su carta che su schermo – l’universo supereroistico Marvel concorre a fare di noi utenti passivi che subiscono tonnellate d’intrattenimento e ne discutono come fosse un lavoro, producendo valore per le piattaforme digitali ben al di fuori della sua fruizione effettiva: di un film Marvel, oggi, si inizia a parlare almeno due anni prima del suo approdo in sala, e il nostro parlarne a partire da una quantità spropositata di tempo libero arricchisce siti e piattaforme che, detto brutalmente, non restituiscono in alcun modo il valore che tendiamo a produrre per loro. In questa alienazione da consumo sia predittivo che produttivo, che poi è la vera novità delle economie digitali, i libri come quello di Douglas Wolk riescono a scavare un tunnel molto prezioso di libertà e spirito critico all’interno di un’enorme Montagna delle Meraviglie di contenuti e intrattenimento, una preziosa mappa per orientarsi tra costellazioni misteriose che, a patto di avere le lenti giuste per osservarle anche da terra, tutto sommato non smettono di splendere neppure quando a tracciarle è la macchina di un consumo massificato e apparentemente fine a sé stesso.