Universo CLAMP

CLAMP

Il 2024 segna il trentacinquesimo anniversario dal debutto del gruppo di autrici giapponesi che, grazie a una prolificità sconfinata, è diventato un fenomeno commerciale, un modello produttivo e soprattutto un formidabile esempio di contaminazione creativa tra i generi.

da Quants numero 12, 2024

«Subaru-kun, mi ami davvero?» chiese Seishiro sorridendo dolcemente mentre guardava il bellissimo giovane davanti a lui, seminascosto dal fumo della tazza di tè. Arrossendo e posando maldestramente la tazza, Subaru balbettò «S-Seishiro-saaaan!»

Questo è l’incipit che mi ha fatto avvicinare – a quattordici anni – al mondo delle CLAMP. È di una fanfiction (ndr: opera letteraria scritta dai fan di un autore, prendendo spunto dalle sue storie e dai suoi personaggi) intitolata There’s a sock in your pants, pubblicata il 22 aprile 2004 sul portale Fanfiction.net. Una storia piuttosto mal scritta che lessi un po’ per caso e che – scoprii solo poi – non rispecchiava per nulla la psicologia della coppia di protagonisti del manga da cui era tratta, Tokyo Babylon, una delle prime pubblicazioni originali del collettivo di artiste giapponesi CLAMP.

Non ricordo come o perché arrivai a leggere questa specifica fanfiction ma, all’epoca, consumavo un sacco di yaoi (anche detto BL, Boy’s Love) un genere che mette al centro relazioni omosessuali tra adolescenti o giovani adulti, spesso ambientate al liceo o al college, con tantissime scene di sesso sempre molto esplicite. Un consumo che spaziava dai manga veri e propri alla fanart e (appunto) alle fanfiction fino agli AMV (Anime Music Video), tutte forme di tributo amatoriale verso queste coppie di maschi che entravano prepotentemente nell’immaginario mio e delle mie amiche. Sì, perché lo yaoi è un genere destinato principalmente a un target femminile: non ambisce a una rappresentazione verosimile di una relazione omosessuale o queer, mentre è più spesso un perfetto (e talvolta allarmante) paradigma di rapporti eterosessuali incasellati in ruoli precisi, seppur idealizzati. Per intenderci, c’è quasi sempre, nella coppia di protagonisti, un personaggio decisamente “attivo” e uno altrettanto “passivo”, in modo perfettamente complementare. Per molte ragazze lo yaoi rappresenta un medium per proiettare fantasie, anche erotiche, che non possono trovare attuazione nella realtà, soprattutto per la creatività e assurdità delle scene di sesso che superano volentieri i dettami della fisiologia umana (e maschile in particolare). A cappello dello yaoi – che raggiunse un picco di popolarità in Giappone negli anni Novanta – c’è lo shōnen’ai che, sempre rivolto a un pubblico femminile, tratta relazioni gay ma lascia più spazio alla trama, ai sentimenti, insomma allo sviluppo della relazione affettiva e romantica tra i due protagonisti.

In ogni caso, scoprire le CLAMP fu una bomba. Conoscevo già alcuni loro manga più famosi – a partire da Card Captor Sakura (forse una delle serie che più contribuì a far conoscere le CLAMP fuori dal Giappone) ma fu leggendo Tokyo Babylon che mi innamorai di loro. Non mi ricordava nulla che avessi letto o visto prima. A partire dalla centralità della città nella serie, al mix tra esorcismi e analisi di temi sociali d’attualità fino al rapporto tra i tre protagonisti – Seishiro, Subaru e sua sorella gemella Hokuto. Ma per capire perché si tratta di un manga così importante – e perché le CLAMP abbiano, da Tokyo Babylon in poi, occupato un posto sempre più rilevante nell’industria del fumetto giapponese e non solo – meglio partire dall’inizio. E nella fattispecie da un fenomeno editoriale che ha difficilmente un paragone in occidente, quello delle dōjinshi.

La produzione delle CLAMP è una sorta di operazione di cherry picking continua, che seleziona con cura gli archetipi, i meccanismi e i tropi di un genere e li catapulta – con perfetta fluidità – in un altro, lasciando spazio alla creazione di trame, personaggi e mondi inaspettati.

In breve, si tratta di autoproduzioni, pubblicazioni curate in tutto e per tutto, dalla grafica alla stampa, da singoli autori o più spesso da collettivi composti da più membri. Ma, se in Occidente il fenomeno delle autoproduzioni è legato fortemente all’underground (si pensi alle fanzine) ed è spesso profondamente autoriale –slegato dalle logiche commerciali prevalenti – in Giappone le dōjinshi arrivano a tirature altissime, paragonabili a quelle dell’editoria ufficiale. Ma conservano un carattere di innovazione e rottura, sia quando si tratta di opere originali sia quando si tratta di rivisitazioni di serie famose. Spesso c’è, nelle dōjinshi, una riappropriazione dei personaggi – e di interi mondi – che può ricordare la parodia ma che in realtà ha un carattere più profondamente eversivo, perché è in grado di esercitare un rimpasto originale e al tempo stesso familiare per chi legge, introducendo elementi del tutto assenti nel tessuto originale dell’opera a cui fanno riferimento. Una riappropriazione che a volte spinge sull’erotismo, a volte su elementi soprannaturali o avulsi dalla trama originale o dalla psicologia dei personaggi. E che crea nuovi immaginari, nuove iconografie e simbolismi.

Un crossover continuo che incanala le spinte dal basso proiettandole nel mainstream editoriale. Ed è un po’ quello che, a quattordici anni, cercavo nelle fanfiction: la possibilità di rielaborare a mio piacimento un patrimonio culturale condiviso senza limitazioni né rispetto per l’opera originale, o almeno non il rispetto che comunemente viene riservato ai classici – intoccabili – che ti fanno leggere a scuola. Volevo liberarmi di quel peso, tipicamente europeo, che impone di conoscere bene quel di cui si parla, dell’esercizio di stile, dell’imitazione vuota come unica forma di tributo. Mi piaceva quanto le fanfiction potessero essere un motore di cambiamento davvero accessibile, che rendesse pop i grandi personaggi della letteratura (così come quelli della letteratura già pop).

Seppur su scala diversa e con un livello qualitativo differente, a far da comune denominatore tra il mondo delle fanfiction e quello delle dōjinshi è la presenza imponente di una classe intermedia che si inserisce come ponte tra i fruitori dei prodotti culturali e gli editori. L’amatore diventa autore a propria volta, rimaneggiando e appropriandosi di uno scenario culturale mutevole e plasmandolo secondo nuove architetture. Anche in occidente ci sono diversi casi editoriali di successo nati da fanfiction (uno su tutti è Cinquanta sfumature di grigio, una fanfiction di Twilight). In uno scenario in cui è sempre più difficile per gli editori identificare e raggiungere il proprio pubblico (un fatto che vale tanto in Giappone quanto negli USA e in Europa) le autoproduzioni rappresentano un importante input e una chiave di lettura fondamentale per capire in quale direzione muoversi. Cosa piace e cosa no. Con tutte le conseguenze che ciò comporta, in positivo e negativo.

In questo senso le CLAMP, sin dai loro esordi, riescono a dare voce alla complessità delle relazioni di ogni genere dando loro dignità e rappresentandole in modo vario e sfumato, anche negli elementi più cupi.

Le CLAMP sono tra le artiste più famose emerse dal mondo delle autoproduzioni giapponese. Il gruppo, inizialmente composto da dodici ragazze, nasce verso la metà degli anni Ottanta come circolo dōjinshi. In questa prima fase si dedicano a rivisitazioni yaoi di classici come Saint Seiya (I cavalieri dello zodiaco) e Le bizzarre avventure di JoJo, per poi debuttare ufficialmente – nel 1989 – con la serie originale RG Veda, pubblicata sulla rivista Wings. Sono passati 35 anni dalla prima uscita di RG Veda e il collettivo ben presto si ridusse in numero fino a includere le sole quattro artiste attuali, Nanase Ōkawa, Mokona, Satsuki Igarashi e Tsubaki Nekoi. In tre decenni questo gruppo è diventato celebre in Giappone – ma anche negli USA – grazie all’incredibile prolificità delle artiste, ai manga pubblicati e ai diversi adattamenti anime e OVA. Sempre raccontando un mondo reale e immaginario al tempo stesso, con un approccio cross-genere che ha permesso alle CLAMP di parlare a un pubblico vastissimo.

Nanase Ōkawa, Mokona, Satsuki Igarashi e Tsubaki Nekoi non si sono formate in scuole specializzate per la produzione di manga, un fatto che probabilmente le ha tenute lontane dall’iper-specializzazione che caratterizza il percorso di molti artisti in Giappone. Specializzazione che dovrebbe riflette una macro-divisione, vera o presunta, nel pubblico, con i manga shonen (rivolti ai ragazzi) e shojo (per le ragazze). Una linea di demarcazione che le CLAMP non hanno mai fatto propria. «Non distinguiamo un genere dall’altro, sono tutti la stessa cosa. Se una ragazza legge un manga, sarà per lei uno shojo, se un ragazzo fa lo stesso, per lui sarà uno shonen. In definitiva è tutto in mano ai lettori. L’unico limite sono le linee guida imposte dai diversi editori» ha dichiarato Ōkawa in un’intervista rilasciata nel 2005. Ormai lontane dal periodo dōjinshi, le CLAMP hanno conservato negli anni la capacità di giocare e far propri gli elementi che demarcano i diversi generi, facendo della fluidità la propria cifra, con esiti inaspettati.

Spesso c’è, nelle dōjinshi, una riappropriazione dei personaggi – e di interi mondi – che può ricordare la parodia ma che in realtà ha un carattere più profondamente eversivo, perché è in grado di esercitare un rimpasto originale e al tempo stesso familiare per chi legge, introducendo elementi del tutto assenti nel tessuto originale dell’opera a cui fanno riferimento.

In Tokyo Babylon – pubblicato sempre sulla rivista shojo Wings tra il 1990 e 1993 – c’è già molto di tutto questo. Siamo in una Tokyo in cui possessioni, anime perdute e altre presenze soprannaturali rendono la vita del sedicenne Subaru Sumeragi – discendente della principale famiglia di onmyōji (letteralmente “maestri dello ying e dello yang”) del Giappone, dinastia che ha servito l’imperatore per secoli – piuttosto complicata. Subaru è costantemente impegnato in esorcismi di vario genere e tipo, con l’aiuto della sorella gemella Hokuto, dal carattere espansivo, sempre pronta a commentare le avventure del fratello nel mondo dell’occulto svelandone le implicazioni sociali e morali. Tokyo Babylon riprende alcuni elementi tipici del genere shojo, a partire dalla centralità della componente romantica tipica degli shōnen-ai, che si articola nella complessa relazione tra il sedicenne Subaru e il venticinquenne Seishiro, veterinario solo in apparenza naive (e melenso) che sin dagli inizi rivela un lato oscuro. Non solo, i tre protagonisti della serie hanno una profondità sentimentale ed emotiva che, appunto, è tipica degli shojo, così come la presenza di numerosi elementi comici. Detto questo, Tokyo Babylon non può essere in alcun modo considerato puramente shojo. Guardando questa serie da un altro punto di vista, possiamo considerare infatti predominanti alcuni tropi tipici dei manga shonen (per ragazzi). A partire dalla centralità dell’azione, che riprende il classico sviluppo tipico del genere, con il protagonista che deve superare diverse sfide e sconfiggere antagonisti di volta in volta diversi, a turno. Spiriti, demoni ed esseri soprannaturali che (e qui torniamo nel terreno dei manga “per ragazze”) hanno a propria volta una storia e una psicologia ben caratterizzata.

In Tokyo Babylon le CLAMP si confrontano anche con i temi tipici del genere shōnen’ai. Mentre il rapporto tra Subaru e Seishiro è inserito in un contesto sociale di quasi completa aproblematicità (per fare un esempio, la sorella di Subaru, Hokuto, è la prima fan della coppia e in più occasioni cercherà di fare da Cupido), a rivelarsi sin da subito difficile è la natura del rapporto tra i due, a partire dalla profonda incompatibilità della loro visione del mondo e dell’umano. In questo senso le CLAMP, sin dai loro esordi, riescono a dare voce alla complessità delle relazioni non eterocisnormate, dando loro dignità e rappresentandole in modo vario e sfumato, anche negli elementi più cupi.

In trentacinque anni di attività, questo collettivo di artiste è riuscito a creare un vero e proprio multiverso (oltre a vendere oltre cento milioni di copie in tutto il mondo), affermandosi grazie alla capacità di raccontare la realtà con uno sguardo femminile in grado di superare i limiti tra generi e target di pubblico. La produzione delle CLAMP è una sorta di operazione di cherry picking continua, che seleziona con cura gli archetipi, i meccanismi e i tropi di un genere e li catapulta – con perfetta fluidità – in un altro, lasciando spazio alla creazione di trame, personaggi e mondi inaspettati. Nelle CLAMP c’è la volontà di superare una divisione di pubblico (target femminile vs target maschile) probabilmente più culturalmente imposta che reale, pur rimanendo saldamente ancorate al mainstream. Una caratteristica – l’abbattimento delle barriere di genere – che rimanda al mondo delle autoproduzioni (dōjinshi) delle loro origini, in cui non era necessario adeguarsi a limiti narrativi o di stile imposti dall’editore.

Ex storica, ex libraia. Oggi si occupa di comunicazione/new media e lavora in un'agenzia a Milano.