È uno dei temi più divisivi e controversi di questi anni, ma è anche uno dei più avvincenti: l’auto elettrica è letteralmente un bimbo in fasce, che sta cominciando a muovere i suoi primi passi. Tutto è affascinante e al tempo stesso migliorabile, tutto sta cambiando, e sta cambiando anche noi.
da Quants numero 5, settembre 2023
Salire a bordo di un’auto elettrica per la prima volta non è un’esperienza che ti cambia la vita, ma la definirei quantomeno straniante: ci si muove in assoluto silenzio, senza le vibrazioni del motore termico che da piccoli ci facevano addormentare mentre si andava al mare lungo l’Autostrada del Sole. La qualità della vita (a bordo, ma anche e soprattutto fuori) migliora nettamente, ma la percezione del passo in avanti compiuto è — letteralmente — offuscata da decenni di odori e fumi di scarico, quelli con cui siamo cresciuti tutti quanti. Il che, almeno in parte, spiega la riluttanza di noi italiani ad abbracciare la rivoluzione elettrica di questi anni.
A guardarla da lontano, con sguardo quanto più possibile distaccato, impossibile non notare i parallelismi con le altre rivoluzioni tecnologiche che hanno stravolto le nostre vite negli ultimi cinquant’anni. Ogni novità arriva come esclusiva per pochi, abbracciata solo dai cosiddetti early adopter, appassionati con la capacità economica di potersela permettere. È stato così per la televisione, per i telefoni cellulari e i computer, ed è così anche per le auto elettriche. Anche se sono in pochi a raccontarlo, sono regole pressoché codificate nel progresso tecnologico. Il mondo dell’auto, degli automobilisti (e degli automobilisti italiani, aggiungerei) è stato semplicemente meno pronto a recepire la novità. Perché la televisione, il telefono cellulare o il computer facevano mangiare chili di polvere alla radio, alla cornetta con il filo e alla macchina da scrivere; chi li utilizzava la prima volta non era più disposto a tornare indietro. Le auto elettriche, invece, fanno sostanzialmente le stesse cose di quelle con motore termico. Le fanno meglio, perché hanno un’efficienza energetica di gran lunga superiore, ma l’esperienza di chi viaggia rimane sostanzialmente la stessa. Le fanno inquinando meno, ma interessa solo marginalmente, e solo a una fetta limitata della popolazione. E poi l’auto è anche emozione, libertà, racconto emotivo che va ben oltre l’oggetto. È passione, suono, mani sporche di grasso e puzza di benzina. Dopo decenni passati a discutere di cavalli, newtonmetro, differenziali a slittamento limitato, quanto sono noiose le differenze tra kW e kWh, tra presa di ricarica CCS Modo 2 e trifase?
Televisione e computer hanno fatto mangiare la polvere alla radio e alla macchina da scrivere. Le auto elettriche, invece, fanno più o meno le stesse cose di quelle tradizionali.
Alla riluttanza nei confronti delle auto elettriche ha contribuito anche l’industria automobilistica stessa: è vero che ogni nuova tecnologia costa sempre di più di quella che va a sostituire, ma le prime elettriche non sono mai state presentate come il futuro dell’automobile quanto come uno sfizio per ricchi, modelli di lusso e ultra-premium, sportivi e potenti, appannaggio di qualche facoltoso con il vezzo del green. Come se l’attenzione all’ambiente potesse essere un vezzo, o faccenda per pochi. Un errore di posizionamento a cui si aggiunge il carico — quello sì, inevitabile — di un prezzo di listino sensibilmente più alto rispetto alle auto tradizionali. Ma la legge che guida il cambiamento tecnologico continua a valere anche se il mercato è più scettico del solito: le auto elettriche cominciano a diffondersi, ricerca e sviluppo vengono pian piano ammortizzati, e i prezzi cominciano a calare.
Complice anche una sensibilità ambientale più diffusa, le auto elettriche sono viste con meno sospetto, e ne dà conferma il mercato: nel mondo sono state più di 10 milioni le BEV (Battery Electric Vehicles, veicoli elettrici a batteria) vendute nel 2022, con una quota di mercato complessiva, a livello mondiale, che supera ormai il 14% (era il 9% nel 2021 e il 5% nel 2020), e che potrebbe arrivare al 18% entro la fine di quest’anno. A trainare questa rivoluzione è la Cina, con una quota di mercato del 29%, e dove circola più della metà delle auto elettriche di tutto il pianeta. In Europa è elettrica un’auto venduta su cinque, negli Stati Uniti una ogni dodici (Fonte: IEA, Agenzia internazionale dell’energia, aprile 2023). L’Italia fa storia a sé, come fa storia a sé anche nella tradizione dell’automobile, ed è infatti uno dei mercati più ostici, uno dei paesi in cui l’elettrica fatica maggiormente a imporsi: al momento la quota di mercato delle elettriche pure veleggia intorno a valori di poco superiori al 4% (Fonte: UNRAE, maggio 2023), senza grandi segnali di miglioramento.
Il fronte più caldo su cui si gioca la partita dell’elettrico è quello delle batterie: migliorare la tecnologia di quelle esistenti e scommettere su quelle del futuro.
La battaglia dei prossimi anni si giocherà sul mercato più grosso, quello di massa. Il settore si è fatto più competitivo e stanno rapidamente aumentando le possibilità per i consumatori, che possono finalmente scegliere tra molti più modelli. Adesso che l’auto elettrica non è più vista come il male assoluto (anche solo rispetto a due o tre anni fa), adesso che sono aumentati tantissimo i prezzi delle auto tradizionali, adesso che la parola elettrificazione non è più un tabù, le case stanno preparando una vera e propria offensiva nel settore delle piccole, delle citycar, di quella che già viene definita la soglia psicologica dei 25mila euro, cifra massima che l’utente medio è disposto a spendere per un’auto nuova. Ci stanno entrando tutti, da Tesla con la Model 2 a Volkswagen con la ID. 2All, Renault con il ritorno della R5, Fiat che potrebbe addirittura rispolverare il nome della Uno. Auto più compatte, perfette per città sempre più inquinate e con sempre meno spazio dove parcheggiare SUV enormi, macchine adatte per le esigenze di tutti i giorni e per quelle di una famiglia normale. Un’offensiva di prodotto in cui si sono lanciati anche i marchi premium, da Audi a Volvo, pronti a lanciare sul mercato le loro “piccole” a batteria.
Il mercato avrà poi un secondo, importantissimo fronte su cui giocare la battaglia dell’elettrico, ed è quello dei veicoli commerciali: già oggi vediamo sempre più furgoni a zero emissioni utilizzati per le consegne (alcune aziende ne hanno fatto una vera e propria mission), mezzi che nel tempo non faranno che aumentare di numero. Il boom del commercio elettronico di questi anni, delle consegne a domicilio e dei vari servizi di delivery costringe i fornitori ad adeguarsi per non restare indietro e rischiare di rimanere tagliati fuori da città che impongono ZTL sempre più grandi e limiti anti-inquinamento sempre più severi.
Ma la partita è apertissima, su tantissimi fronti: il più caldo è quello delle batterie, il cuore pulsante delle automobili. Un tema che coinvolge in prima battuta l’approvvigionamento delle materie prime fondamentali per produrre quelle agli ioni di litio, usate nella stragrande maggioranza dei modelli in commercio. In secondo luogo, almeno per noi europei e per gli americani, c’è il tema — politico ed economico — dell’indipendenza dalla Cina per la produzione delle batterie stesse, con stabilimenti nati cinquant’anni fa da riconvertire e altri da creare ex novo (le famose Gigafactory). Da questo punto di vista è importante sottolineare l’impegno dell’Unione Europea: l’indipendenza energetica del Vecchio Continente è ben presente nell’agenda di Bruxelles, che sta lavorando per incentivare la produzione locale e per trovare alternative alla carenza di materie prime nel nostro territorio. Come? Promuovendo l’uso di batterie sempre più riciclabili, da cui recuperare i materiali necessari a produrne di nuove, innanzitutto, ma anche incentivando la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie. Un ambito nel quale le innovazioni si sprecano: batterie più efficienti, che a parità di ingombri permettano di stivare più energia, ma anche tante alternative alle soluzioni attuali: le batterie al sale, per esempio, o quelle a stato solido.
Uno dei cavalli di battaglia di chi rema contro le elettriche è il problema dello smaltimento delle vecchie batterie, che resta più che altro uno spauracchio demagogico: da un lato, già dicevamo, sarà sempre maggiore la percentuale di materiali recuperati dal riciclo degli accumulatori. Dall’altro, le batterie ormai non più efficienti per le auto (che arrivano al 70%, 75% di carica, per intenderci) vengono utilizzate in tanti altri ambiti, in quella che viene definita seconda, se non addirittura terza vita delle batterie. Un esempio su tutti: come depositi di stoccaggio per immagazzinare l’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici di giorno, e tenere accese aziende, aeroporti e altre strutture di notte.
Quella che spaventa di più è la sfida legata all’occupazione. Alla quale la politica, fino a questo momento, ha faticato a dare risposte serie e concrete.
La potenza delle auto elettriche, la loro capacità di spingere fortissimo fin dai primi metri e di divertire alla guida non sono più oggetto di discussione, basta provarle. Col senno di poi, era anche una delle questioni meno importanti. Chi si mette al volante di un’auto elettrica non si preoccupa tanto dello “0-100” quanto dell’autonomia, di quanti km può fare con un pieno. Vittima di range anxiety, dell’implacabile ansia da ricarica. È vero che la percorrenza media di un’elettrica è di poco inferiore ai 400 km, ma sapete quanta autonomia hanno una Panda o una Lancia Y, le macchine più vendute in Italia? Circa 380 km. Eppure, chissà perché, la cosa non interessa a nessuno. Nessun automobilista si è mai posto il problema di quanti km fa la sua auto a benzina o a gasolio, per il semplice fatto che per decenni si è sempre trovato un distributore sotto casa dove riempire il serbatoio in una manciata di minuti. Oggi, per le elettriche non è così. L’errore, anche da parte delle case automobilistiche, è stato spostare il problema: visto che ci sono poche colonnine, allora preoccupiamoci di poter fare abbastanza km per andare da Milano a Roma senza mai fermarci. Non sarebbe invece meglio trovare una colonnina di ricarica a ogni distributore? La vera domanda è perché non sia ancora così.
L’infrastruttura di ricarica sta crescendo, ma dovrà farlo ancora di più, e soprattutto a un ritmo più sostenuto: le colonnine sono aumentate di numero, ma anche le auto elettriche in circolazione, col risultato che sono sempre più spesso occupate. Inevitabile. Ci sarà sempre più bisogno di prese a cui attaccarsi, e dovranno essere tutte del tipo fast charge, che permettono di riempire mezza batteria in pochi minuti, senza l’obbligo lasciare l’auto attaccata sei ore di fila. E poi certo, per chi ha un box o uno spazio privato, servirà una wallbox personale per fare il pieno più lentamente, senza fretta, per recuperare di notte i km percorsi di giorno. Una nuova infrastruttura che avrà bisogno di una rete di trasporto efficace, capace di far arrivare ovunque un enorme fabbisogno di corrente. Senza dimenticare un aspetto cruciale, ossia che la corrente dovrà essere prodotta in maniera sostenibile. C’è ancora parecchia strada da fare, ma dovremmo essere su quella giusta: già nel 2021 il 41,3% di elettricità prodotta in Italia proveniva da fonti rinnovabili, principalmente idroelettrico, solare ed eolico (Fonte: ourworldindata.org).
L’ultima sfida, ma forse la più importante, è anche quella spaventa di più, ed è quella legata all’occupazione e alla riconversione degli stabilimenti. In primis perché le auto elettriche hanno molti meno componenti, e servono quindi meno fabbriche per produrli e meno lavoratori per assemblarli. Le elettriche richiedono anche molta meno manutenzione: un’ottima notizia per il portafoglio dell’automobilista, un po’ meno per chi di lavoro aggiusta macchine. Una volta assemblati, i motori elettrici sono praticamente eterni (almeno rispetto al ciclo di vita di un’automobile); la frenata rigenerativa fa durare molto di più pastiglie e dischi dei freni; non ci sono cinghie, frizioni o punterie idrauliche che si consumano e vanno aggiustate o cambiate. Lentamente, ma neanche troppo, dovranno riconvertirsi anche le officine, perché ci sarà sempre più bisogno di tecnici specializzati in elettronica, batterie e impianti ad alto voltaggio. È la sfida più squisitamente politica di tutte, perché riguarda il lavoro di decine di migliaia di persone, di famiglie e di aziende. Ed è quella a cui la politica, almeno fino a questo momento, fatica a dare risposte serie, che sappiano interpretare la realtà e dare una visione concreta di futuro.