Negli ultimi dieci anni, le scrittrici irlandesi hanno innovato generi, vinto premi, permesso ai creator di pubblicare infiniti reel a tema “sad girl book”. Sally Rooney è solo la punta di un iceberg fatto di autrici audaci con qualcosa in comune: il focus su personaggi soli, fragili e molto, molto inquieti.
da Quants numero 7, novembre 2023
Nel 2015, il Guardian pubblica un articolo sul boom della letteratura irlandese, che dopo anni di «nostalgia e repressione sessuale» sembra essere diventata «dinamica, radicale e spesso il prodotto di voci femminili». Sono gli anni dello sperimentalismo linguistico di Una ragazza lasciata a metà di Eimear McBride (Safarà Editore, 2016), di Stagno di Claire-Louise Bennett (Bompiani, 2019) e dell’enorme influenza – enorme equivale a circa mille abbonati, praticamente lo stesso numero di iscritti al club calcio Novara − dello Stinging Fly, il magazine letterario che negli ultimi due decenni ha fatto emergere i più promettenti autori irlandesi, inclusa la beniamina Sally Rooney, che dal 2021 è entrata a far parte del board come presidentessa. Quattro anni dopo, un altro articolo a firma Guardian titola «Perché la letteratura irlandese sta avendo così tanto successo? Perché scrittori e editori si prendono dei rischi». Dopo anni di «romanzi conservatori» è sembrata arrivare una ventata d’aria fresca con titoli come Persone Normali di Sally Rooney (Einaudi, 2019) e fiore frutto foglia fango di Sara Baume (NN Editore, 2018), per citarne due tra i tanti.
Negli ultimi anni, le scrittrici irlandesi sono state candidate a tutti i premi letterari più importanti, spesso sono arrivate in shortlist e non raramente hanno vinto. Nel 2019 l’autrice Niamh Campbell ha vinto il Sunday Times Audible Short Story Award, il più ricco premio dedicato ai racconti brevi. Certi Sconfinamenti di Louise Kennedy (Bollati Boringhieri, 2023) è arrivato tra i sei finalisti dello Women’s Prize for Fiction di quest’anno – vinto poi da Barbara Kingsolver con l’ottimo Demon Copperhead – mentre Milkman della nord-irlandese Anna Burns (Keller, 2019) ha vinto nel 2018 il mitologico Booker Prize. E per chi dice che i premi non contano niente, ecco che anche la bolla letteraria social premia le autrici irlandesi: i libri di Sally Rooney sono in tutti i reel e Tik Tok a tema sad/hot girl books e il bucket hat uscito come merchandising per Dove sei, mondo bello (Einaudi, 2022) è stato l’oggetto del desiderio più ambito di ogni book influencer, ben più delle tote bag o del telo mare regalati con le promo estive di Adelphi. Per non parlare di Atti di sottomissione di Megan Nolan (NN Editore, 2021) forse il libro più condiviso nelle storie Instagram a tema amore tossico e dio solo sa quante volte al giorno compaia sui social la parola “amore tossico”.
Negli ultimi anni, le scrittrici irlandesi sono state candidate a tutti i premi letterari più importanti, spesso sono arrivate in shortlist e non raramente hanno vinto.
Insomma, della scena letteraria irlandese tutti ne parlano e tutti la vogliono. Nemmeno un mese fa, anche il New Yorker ha fatto uscire un pezzo sulle tre scrittrici «che negli ultimi anni hanno pubblicato alcuni dei romanzi più interessanti di tutta la letteratura in lingua inglese». Poco più che trentenni e tutte irlandesi, Naoise Dolan, Megan Nolan e Nicole Flattery hanno avuto un successo enorme – vedansi paragrafi precedenti per capire come l’aggettivo enorme debba essere declinato in questi casi – con i propri esordi (Tempi Eccitanti, uscito in Italia per Blu Atlantide, il già citato Atti di sottomissione e Show Them a Good Time, una raccolta di racconti pubblicata da Bloomsbury ma non ancora tradotta in Italia), e tutte nel 2023 si sono ritrovate a fare i conti con l’uscita, più o meno fortunata, del secondo romanzo.
«Gli autori irlandesi danno il proprio meglio quando tutto va a rotoli, economicamente o moralmente», ha detto lo scrittore e sceneggiatore Julian Gough. Se lo si prende alla lettera, visti i tempi apocalittici in cui viviamo, è chiaro che negli ultimi dieci anni le autrici irlandesi hanno avuto materia prima abbondante di cui scrivere. Prendiamone allora una manciata, di questi ottimi romanzi irlandesi. Sì, perché Piccole cose da nulla di Claire Keegan e Dove sei mondo bello di Sally Rooney hanno qualcosa in comune con Tempi Eccitanti di Naoise Dolan, Milkman di Anna Burns e Certi Sconfinamenti di Louise Kennedy. Trovare cosa li divide è più facile, soprattutto in un territorio che di contrasti ha vissuto sempre: Irlanda e Irlanda del Nord, unionisti e repubblicani, protestanti e cattolici, Belfast e Dublino. A rimanere in superficie, si potrebbe dire che Keegan, Burns e Kennedy ambientano le proprie storie nel passato di miseria e repressione dei Troubles e delle Magdalene Laundries, mentre Rooney e Dolan guardano alla contemporaneità più familiare alla generazione millennial ma non per questo più rassicurante. Eppure, a guardare bene, sono più le affinità che le divergenze.
«Gli autori irlandesi danno il proprio meglio quando tutto va a rotoli, economicamente o moralmente», ha detto lo scrittore e sceneggiatore Julian Gough.
Certi Sconfinamenti esce per la prima volta nel 2022 per la casa editrice Bloomsbury − che ha fatto felici più generazioni e CEO pubblicando la saga di Harry Potter − e fa subito il botto vincendo l’Irish Book Awards come miglior romanzo dell’anno. Non è un libro che si legge per la trama innovativa: siamo nella Belfast degli anni Settanta martoriata dai Troubles, la ventenne Cushla insegna in una scuola elementare cattolica e vive una storia d’amore illecita con Michael, avvocato di vent’anni più vecchio, sposato e protestante seppur difensore dei diritti civili dei cattolici. La tragedia è prevedibile da pagina uno e incombe con incedere svelto. Lo stesso vale per Piccole cose da nulla di Claire Keegan, diventato un vero caso editoriale e per cui l’hype per l’adattamento cinematografico con Cillian Murphy è già alto: è il 1985, la crisi economica in Irlanda galoppa, la gente emigra e Bill Furlong è un onesto commerciante di carbone di New Ross con cinque figlie. Ai confini della cittadina ci sono un convento, una scuola e una lavanderia dove diverse ragazze «di dubbia reputazione» vivono e lavorano. Durante una delle sue consegne, Furlong incappa in una di loro, rinchiusa nella carbonaia in condizioni impietose. Nessuno spoiler, ma questo evento smuove in Furlong sentimenti mai sopiti in una cittadina omertosa e indifferente. In Milkman, Anna Burns non ha bisogno di dare nomi propri alle persone, alle cose o alle città, perché è evidente da subito che il setting del romanzo sia la Belfast dei Troubles. Qui, una ragazza di diciotto anni riceve le attenzioni non richieste di un noto terrorista dell’IRA ben più adulto che la gettano in una spirale di violenza, pettegolezzi e sopraffazione. Ancora a parlare di Troubles e di Magdalene Laundries? A prendere il testimone di Edna O’Brien? No, perché nessuno di questi tre romanzi è il classico libro sull’Irlanda divisa.
Tutti i protagonisti sono outsider che vivono un presente opprimente e non hanno alternative alla mostruosità della realtà se non la fuga, reale o immaginaria che sia. A metà del romanzo, Cushla scappa con Michael a Dublino e quei giorni sospesi le permettono di sottrarsi a un’esistenza scandita dalle sbronze della madre e dai bollettini di guerra mattutini dei suoi alunni settenni:«Prima della lezione declamavano Le News. Cushla le odiava ma il preside aveva insistito. Diceva che incoraggiava gli alunni a essere consapevoli del mondo circostante. Cushla pensava che sapessero già troppo del mondo circostante».
La protagonista di Milkman fugge dalla realtà attraverso la lettura di libri fuori dal suo tempo: «Preferivo camminare verso casa leggendo un romanzo. In particolare, un romanzo del diciannovesimo secolo perché non mi piacevano i libri del ventesimo secolo perché non mi piaceva il ventesimo secolo».
La sua personalissima rivoluzione è leggere-mentre-cammina, attività incomprensibile e sospetta per una comunità che gli occhi sul mondo reale non li toglie mai. Aiutando a fuggire a piedi nudi la lavandaia Sarah, anche Furlong evade da una società zitta e complice, fregandosene dei consigli della moglie: «Se vuoi andare avanti, nella vita, su certe cose devi far finta di niente, solo così puoi farcela». Tutti e tre i romanzi sono resoconti di piccole rivoluzioni private in una realtà claustrofobica e ostile che è resa dalle autrici in modi diversi ma mai convenzionali. Keegan scarnifica la sua prosa (Piccole cose da nulla sta sotto le cento pagine) ma così facendo la rende incredibilmente più stratificata e intensa. Kennedy ha il dono di raccontare contemporaneamente una storia d’amore senza retorica e la Storia senza sfociare in un’antologia. Burns è la più sperimentale di tutte: la scelta di non dare nomi propri a niente e nessuno è deumanizzante e toglie la bussola a un lettore già spaesato dal flusso di coscienza inarrestabile di una protagonista che mischia poesia, sarcasmo e dolore. Questa ricerca di evasione e questa sensazione di isolamento rispetto alla comunità sono in fondo le stesse di Ava, Connell e Marianne ed Eileen e Alice, protagonisti dei romanzi di Dolan e Rooney.
Tutti scappano perché tutti sono soli in un mondo sempre meno comprensibile e ospitale.
«A Dublino ero triste, ho dato la colpa a Dublino e ho pensato che Hong Kong avrebbe potuto aiutare», esordisce Ava all’inizio di Tempi Eccitanti. «Dovresti andare [a New York]» sono le ultime parole che Marianne dice a Connell in Persone Normali. Tutti scappano perché tutti sono soli in un mondo sempre meno comprensibile e ospitale: Ava non ha amici, Marianne nemmeno e passa la pausa pranzo a leggere da sola, Connell confessa alla sua psicologa di non essere riuscito a legare con quasi nessuno durante l’università. Se è vero che i personaggi di Rooney e Dolan non devono più fare i conti con checkpoint e attentanti terroristici quotidiani fuori dal cancello di casa e possono disinteressarsi della religione («È possibile che queste cose succedano ancora, nel mondo reale in cui viviamo io e te?» chiede Eileen ad Alice dopo aver partecipato a una messa), è vero anche che altre catastrofi e paure incombono. Dal cambiamento climatico agli affitti alle stelle, dall’ascesa della destra allo sgretolarsi del mercato del lavoro («Tanto l’economia è fottuta», ribadisce Marianne a Connell di fronte ai suoi timori di iscriversi a Lettere): un’insicurezza costante che permea tutto, inclusi i rapporti umani. L’unica via di uscita è di nuovo una personale, piccola rivoluzione: fare un figlio nel mezzo del disastro climatico, abbracciare la propria sessualità incasinata, partire per un MFA a cinquemila chilometri di distanza quando tutto finalmente sembra andare per il verso giusto.
Il potere formidabile di tutte queste autrici non sta solo nell’affrontare in modo nuovo temi delicati – molestie, depressione, violenza comunitaria, alcolismo – ma soprattutto nel farlo stando dalla parte degli outsider, dei “beyond-the-pale”, come in Milkman vengono definiti dalla società i non incasellabili, gli irrisolti, i weirdos. Ava, la protagonista di Tempi Eccitanti, è così confusa e infelice di se stessa da cambiare continente e iniziare un’assurda relazione a tre con un banchiere emotivamente indisponibile e un’avvocatessa workaholic. Connell e Marianne sono due solitudini che faticano così tanto ad appartenere al mondo da attrarsi come calamite, perché riconoscono nel legame con l’altro l’unico modo per farlo. Nonostante l’apparenza granitica, Furlong fatica a testa bassa per una famiglia di cui sembra spettatore, e passa i momenti morti a rimuginare su altre, infinite possibilità, chiedendosi come la gente possa vivere decenni «senza avere per una volta il coraggio di andare contro le cose com’erano». E poi c’è middle-sister, la protagonista di Milkman, stramba e colpevole perché legge-mentre-cammina, non ha ancora marito ma ha una quasi-relazione con un quasi-fidanzato e, soprattutto, guarda il cielo e ammette – a differenza di tutto il paese – che può avere molti più colori del blu. È letteratura potente perché è letteratura per i soli, gli spaesati, gli inquieti di ieri e di oggi.