Sally Rooney, più che letteratura per “ragazze tristi”

Einaudi

La pubblicazione di un nuovo romanzo di Sally Rooney è ormai un vero e proprio evento letterario: anticipato da una curatissima campagna pubblicitaria, il libro fisico diventa un oggetto di culto ancora prima di apparire sugli scaffali delle librerie. Ma al di là del marketing, ogni romanzo della scrittrice irlandese sembra essere sempre accompagnato da una domanda: cosa resta, al di là dell’hype, di questi romanzi per “sad girls”?

da Quants n. 20 (2025)

I romanzi che Sally Rooney ha pubblicato, finora, sono quattro con Intermezzo (apparso in italiano a novembre 2024, per Einaudi come i precedenti), più alcuni racconti apparsi sul New Yorker e numerosi pezzi d’opinione scritti per l’Irish Times. I suoi romanzi si somigliano tutti, almeno un po’, tra di loro: in generale, i suoi protagonisti sono giovani adulti cervellotici, alienati e borghesi (studenti di letteratura, poeti, accademici), alla ricerca disperata di intimità. In Intermezzo i protagonisti sono a metà dei trent’anni; le due protagoniste del suo primo romanzo, Parlarne tra amici, hanno invece poco più di vent’anni: le loro età avanzano con l’avanzare di quella della scrittrice. L’ossatura della trama è spesso scarna: il romance è un genere piuttosto codificato, e per questo è anche profondamente rassicurante.
Due persone s’innamorano; innamorarsi è terrificante ma inevitabile. Questi sono i presupposti ontologici perché l’intreccio possa emergere.

L’ossatura della trama è spesso scarna: il romance è un genere piuttosto codificato, e per questo è anche profondamente rassicurante. Due persone s’innamorano; innamorarsi è terrificante ma inevitabile. Questi sono i presupposti ontologici perché l’intreccio possa emergere.

Un velo lieve di malinconia ricopre i romanzi di Rooney, e li accomuna a un vasto filone di romanzi contemporanei che si sono guadagnati l’etichetta letteraria di “sad girl lit”: libri per ragazze tristi. L’aggettivo “sad” descrive tanto i romanzi che appartengono alla categoria quanto il pubblico cui sarebbero destinati, che è appunto canonicamente femminile. Rispetto a ciò, si potrebbe dire che la chick lit degli anni Novanta, come fenomeno editoriale, non sia mai morta, ma si sia semplicemente reinventata: eccone la versione self-conscious, aggiornata con la precarietà lavorativa ed economica, il sesso orale e la depressione. È la stessa differenza che passa tra la HBO di Sex and the City e la HBO di Lena Dunham, o tra i numerosi remix del disco Brat di Charli XCX usciti quest’anno: l’ultimo è intitolato Brat and it’s completely different but it’s also still brat. «Cos’è un romanzo per ‘ragazze’?» Si domandava la scrittrice e poetessa inglese Phoebe Stuckes in un articolo apparso lo scorso aprile sul Guardian, «Un romanzo, ma un po’ meno importante?». Insieme a Sally Rooney, in questo canone immaginario, appaiono diverse scrittrici irlandesi (ad alcune di loro abbiamo dedicato un articolo sul numero 7, a firma di Ilaria Procopio, ndR), diverse inglesi e statunitensi fino a comprendere, secondo alcuni, i romanzi della tetralogia dell’Amica geniale della scrittrice sotto pseudonimo Elena Ferrante. È certamente vero che molti di questi romanzi hanno dei forti punti in comune: mixano questioni di genere e di classe con storie di giovani belli e vagamente tormentati; le trame sono scarne ma sono accomunate dal tentativo di afferrare quale vita buona sia possibile in un mondo ormai al collasso. «Typically in her late 20s or early 30s, the Sad Bad Girl is insecure and adrift, seething with self doubt […]. She is self-obsessed, self-serving and self-destructive, and I’m afraid I’ve had enough of her» ha scritto l’accademica Liz Evans su The Conversation: la sua critica coglie una debolezza comune a molti dei romanzi che vengono collocati, a vario titolo, in questa categoria. Scrivere di donne depresse, i cui unici tratti di personalità sono lo scrutinio costante di sé, l’incertezza e il fatto di provare una tristezza profondissima andrebbe chiamato, forse, pornografia del dolore più che buona letteratura. I romanzi di questo tipo si riconoscono facilmente: le it girl si fanno fotografare mentre li leggono sdraiate al sole; alcuni passaggi-chiave vengono sottolineati a matita e condivisi all’infinito sui social media: sono spesso risposte argute, osservazioni brillanti sulla fine del capitalismo, la precarietà, la solitudine; sulla copertina si vedono donne chic e depresse, sdraiate prone su un divano, addormentate su un letto, che si coprono il volto con le mani. La ripetitività di certi stilemi è quel che rende molti di questi romanzi spesso mediocri. La tristezza stessa di cui dovrebbero occuparsi è spesso soltanto un fatto estetico, osservato dall’esterno e in maniera estremamente superficiale.

Scrivere di donne depresse, i cui unici tratti di personalità sono lo scrutinio costante di sé, l’incertezza e il fatto di provare una tristezza profondissima andrebbe chiamato, forse, pornografia del dolore più che buona letteratura.

Questa ondata letteraria è certamente, in parte, un fenomeno generazionale: Rooney è stata la prima scrittrice della sua generazione ad avere un successo di tale portata, e si è trovata a dover accettare (suo malgrado) il titolo onorifico di “voce di una generazione”, come era successo ad altre autrici precoci come Zadie Smith e Lena Dunham – che infatti, sfondando la quarta parete, nell’episodio pilota della sua serie tv Girls fa dire alla protagonista Hannah (interpretata da Dunham stessa e per questo spesso considerata alla stregua di un suo alter ego), «I think that I may be The Voice of my generation. Or at least a voice. Of a generation». Grazie alle storie che racconta, romanzi per sua stessa ammissione piuttosto convenzionali e ben lontani da voler essere sperimentali, Rooney è in grado di mettere in scena le angosce di una generazione paralizzata da un’ansia che sorge dall’osservazione di un mondo che va a rotoli: in un articolo pubblicato nel 2019 dal magazine Vulture, il giornalista Cody Delistraty ha descritto questa tendenza con un titolo lapidario: Politics of Millennial Resignation. In Persone normali i protagonisti Connell e Marianne vanno insieme a manifestazioni per la Palestina – Rooney partecipa del resto al Boycott, Divestment, Sanctions Movement, e ha rifiutato che i suoi romanzi venissero tradotti e pubblicati in lingua ebraica da editori israeliani – pensano e parlano in termini socialisti e marxisti. «May the revolution be swift and brutal» sentenzia a un certo punto Marianne; il contrasto tra la sua frase e il contesto in cui la pronuncia – seduta in un caffè mentre parla di letteratura – è stridente.
Il fenomeno editoriale che circonda i libri di Rooney, con le file a mezzanotte fuori dalle librerie per accaparrarsi la prima copia, non può che ricordare quello delle saghe fantasy di inizio millennio, fatto di milioni di copie vendute e decine di ristampe, con tanto di blockbuster hollywoodiani tratti dai romanzi – nel caso di Rooney, la serie tratta dal suo secondo romanzo Persone normali, uscita nel pieno del primo lockdown pandemico del 2020, ha avuto un successo fuori scala, contribuendo al lancio definitivo delle carriere degli attori protagonisti Daisy Edgar-Jones (Fresh, Twisters) e Paul Mescal (Aftersun, Il Gladiatore 2). Si è detto: è la Taylor Swift della letteratura. Ai suoi romanzi viene però da molta della critica riservata un’accoglienza dubbiosa. Abbiamo detto di alcuni dei problemi che in generale un’etichetta come “letteratura per ragazze tristi” può porre: in particolare, il sessismo intrinseco in una letteratura dedicata a donne “complessate”, che sono tutt’altra cosa rispetto alle donne normali, che tuttavia non è dato sapere quali libri consumino – i romanzi russi sono tristi e per di più difficili; si può forse concludere che le donne “non tristi” non leggano proprio. Al netto di questi problemi, è giusto chiedersi se i romanzi di Sally Rooney appartengano a pieno a questa stanca categoria.

Mettendo formalmente in scena le difficoltà dell’amore i romanzi di Sally Rooney mostrano quanto calore e quanta tenerezza si possano propagare dal desiderio.

Il suo ultimo romanzo, Intermezzo, è un ottimo punto di partenza per provare a interrogarsi sulla questione. I protagonisti sono i due fratelli Ivan e Peter, il primo dieci anni più giovane del secondo, alle prese con il lutto difficile per la perdita del padre, morto in seguito a una lunga malattia. I fratelli sono, come spesso accade, identici e opposti. Il maggiore, Peter, è un avvocato per i diritti umani a Dublino: è bello e benestante e le sue fidanzate sono magre, sexy e intelligenti. Ivan, il fratello minore, è un giocatore di scacchi semi-professionista, solitario e timoroso; ha un passato da frequentatore accanito di canali YouTube incel e antifemministi: il suo monologo interiore è autoconsapevole e ipercritico, scritto in uno stile asciutto e rigoroso che ricorda la voce autoriale del Wittgenstein delle Ricerche Logiche – una delle dichiarate ispirazioni di Rooney per il romanzo. Nonostante le differenze apparenti, il lettore scopre, grazie all’alternarsi delle voci narranti e all’apparire dello sguardo degli altri protagonisti, che i due fratelli si somigliano, fisicamente, come due gocce d’acqua. Allo stesso modo, i loro monologhi interiori risuonano delle stesse identiche nevrosi e della medesima insicurezza, e sono accomunati dall’incapacità più totale di comprendere il vissuto del fratello. Come in una casa degli specchi, i due si osservano senza mai vedere l’altro, ma unicamente le loro proiezioni. La partita a scacchi annunciata dalla copertina del romanzo è giocata primariamente tra i due fratelli, e solo nello scambio amoroso, che in questo romanzo Rooney complica ulteriormente: una delle relazioni è un triangolo che descrive, più che una trama di infedeltà vicina a quella di Conversazioni tra amici, un ménage à trois postmoderno. In una intervista recente, l’autrice stessa ha sollevato il tema della supposta tristezza dei suoi romanzi, in una conversazione con la giornalista del Guardian Lisa Allardice, dicendo di non considerare i suo libri tristi, e di trovarli anzi piuttosto ottimisti rispetto alla condizione umana e alle relazioni. Ottimisti è l’aggettivo esatto: nei romanzi di Rooney, l’amore è la forza centripeta a cui ci si può aggrappare quando il mondo va a rotoli, e amare è forse l’unica azione pienamente morale – quando, politicamente, l’unica azione davvero morale sarebbe dare inizio alla rivoluzione proletaria e far saltare in aria gli oleodotti, come ha scritto la critica Constance Grady su Vox.

Nella delicatezza di equilibri impossibili, ciascuno dei personaggi di Rooney esprime a proprio modo la vulnerabilità estrema e l’interdipendenza che ci uniscono: come ha scritto la filosofa Judith Butler, nessun essere umano è mai davvero autonomo.

Intermezzo osserva lo svolgersi, simmetrico, delle relazioni sentimentali dei due fratelli. Ivan, ventiduenne, si innamora di Margaret, una donna divorziata e vicina ai quaranta, con un ex marito alcolista che ancora la perseguita; dopo il divorzio, le persone a lei più care la incolpano per aver lasciato il marito malato e per il desiderio di costruirsi una vita senza di lui, e la relazione con un ragazzo molto più giovane la espone ai gelidi giudizi altrui. Ivan non ha mai creduto che una donna lo potesse amare, e la scoperta di sé che nasce dalla relazione con Margaret lo riempie di meraviglia. Peter, il maggiore dei due fratelli, ha una relazione con Naomi, una studentessa ventenne che vive insieme ad alcuni amici in una casa occupata e che vende ogni tanto sue foto erotiche online; allo stesso Peter, con il quale non ha una relazione monogama, chiede saltuariamente dei soldi. La relazione con Naomi lo fa sentire umiliato, per la competizione con gli altri uomini che pagano per vederla nuda, per la differenza d’età che crede lo renda poco desiderabile, per lo scambio di denaro e forse per l’inadeguatezza intellettuale di lei, che è in fondo soltanto una studentessa spiantata. Peter continua, anche, una relazione platonica con la sua ex fidanzata Sylvia, brillante docente di letteratura, che a causa di un grave incidente soffre di dolori cronici che le rendono impossibile avere rapporti sessuali – l’espediente letterario non è dei migliori. L’infatuazione di Peter per Naomi contrasta la sua venerazione per Sylvia: ama ciascuna per ragioni profondamente diverse, e la sua impossibilità di scegliere lo fa vergognare di sé stesso così profondamente da imbottirsi di alcool e Xanax pensando al suicidio. Allo stesso tempo, il suo desiderio per Naomi si accompagna a una tenerezza profonda e al desiderio di renderla felice. «He loves that. Happy woman. Compliment deeper and more intense, to make her. Tightening kind of throbbing feeling inside him just thinking about it. Are you happy, Naomi, he said. And looking up at him she answered yes».

È questo l’ottimismo di Rooney: disposizione pienamente etica di apertura all’altro, donarsi con grazia.

Mettendo formalmente in scena le difficoltà dell’amore (il desiderio proibito fuori dal matrimonio e dalle convenzioni sociali in Conversazioni tra amici, il contrasto di classe in Persone normali) i romanzi di Sally Rooney mostrano quanto calore e quanta tenerezza si possano propagare dal desiderio. Nell’intervista già citata al Guardian, l’autrice si stupisce di quanto la critica sia portata a ignorare il tema erotico, che è progressivamente sempre più presente nei suoi romanzi. La tensione erotica, del resto, è stata considerata il motore del sentimento amoroso a partire, almeno, da Platone. All’inizio del romanzo, in una scena di disperato erotismo e di tenerezza, Peter aspetta Naomi sulla porta d’ingresso, e sente il rumore familiare ed eccitante dei passi di lei: «and then the predictable sequence, the so familiar and by now indirecly arousing sequence of sounds as behind the front door she comes up the old basement staircase and into the hall. […] Everyday experience. The relationship of memory and feeling. The opening door». Nella delicatezza di equilibri impossibili, ciascuno dei personaggi di Rooney esprime a proprio modo la vulnerabilità estrema e l’interdipendenza che ci uniscono: come ha scritto la filosofa Judith Butler, nessun essere umano è mai davvero autonomo. Siamo tutti stati, e per molti versi rimaniamo, neonati bisognosi di calore e nutrimento che provengono dal corpo di qualcun altro. L’amore funziona allora non solo come una forza attrattiva, ma come una forza che aumenta il nostro stesso desiderio di vivere, la nostra potenza vitale: nel terzo libro della sua Etica, il filosofo olandese Baruch Spinoza definiva l’amore come una «gioia concomitante con una causa esterna» e l’odio, il suo sentimento opposto, come tristezza (Spinoza, Etica, III, proposizione 13 (scolio), definizione 6): ottimismo rispetto alla condizione umana e alle relazioni. Per spiegare Spinoza, Gilles Deleuze usava queste parole: «Buono = gioia; cattivo = tristezza. Lo spirito non c’entra più nulla. Solo l’incontro. […] Che succede in un amore felice?». In una pagina fondamentale del romanzo, Margaret si rende conto quasi all’improvviso della definitività della situazione in cui si è cacciata – come scrive Roland Barthes in uno dei suoi famosi frammenti: «La faccenda non si può accomodare.» «Everything is in disarray. All this for one person, for the relation that exists between you. Your fidelity to the idea of that relation». Nessuno è mai davvero autonomo, e siamo tutti impigliati gli uni negli altri: la responsabilità è vertiginosa e terrificante, ma è anche ciò che ci ancora al mondo. «People, other people, make it impossible. But without other people, there would be no life at all». È questo l’ottimismo di Rooney: disposizione pienamente etica di apertura all’altro, donarsi con grazia. «The demands of other people do not dissolve; they only multiply. More and more complex, more difficult. Which is another way, she thinks, of saying: more life, more and more of life».

Laureata in filosofia morale all’Università Statale di Milano, sta conseguendo unmaster in etica contemporanea e antica all’Université Panthéon-Sorbonne di Parigi. Ha collaborato con testate quali Vice, Rolling Stone e The Submarine.