Disco Elysium: un classico contemporaneo, anche per chi non gioca

ZA/UM

Nel 2021 è uscita la Final Cut di Disco Elysium, un gioco che ha rivitalizzato il vecchio genere “adventure” e che in questi anni, nonostante il suo carattere oltremodo inusuale, si è guadagnato un pubblico di entusiasti sempre più vasto – ormai nell’ordine dei milioni – che lo ha portato a essere considerato uno dei migliori giochi di tutti tempi, se non addirittura il migliore.

da Quants numero 6, ottobre 2023

Come quasi tutti coloro che sono cresciuti tra la seconda metà degli anni Ottanta e la prima dei Novanta, in cui si colloca quella che potremmo definire la prima epoca d’oro dei videogiochi per PC, ho imparato ad amare questo medium grazie a classici come Monkey Island I e II, Ultima V, VI e VII, Civilization o Syndicate (la lista, va da sé, potrebbe essere molto più lunga) e ho sempre sostenuto la causa della dignità artistica dei videogame. Sono passato anche dagli arcade (Street Fighter II non è forse un’immortale opera d’arte?) e dalla prima stagione della Playstation, finché mi sono allontanato dal gaming con l’avvento dell’online, trovando che la spesa di tempo che implicava era in conflitto con quella richiesta da un’esistenza produttiva. Ma l’amore per il medium non è mai scomparso, e ogni volta che è uscito qualcosa che fonti accreditate presentavano come imprescindibile, gli ho sempre dato una giocatina, riuscendo però sempre a fermarmi poco dopo aver capito meccaniche, atmosfera e taglio.

Recentemente, però, grazie a un invito molto persuasivo, ho fatto un’eccezione, e un gioco l’ho addirittura finito. Quel gioco è Disco Elysium, scritto dal dungeon master, musicista e romanziere estone Robert Kurvitz e uscito nel 2019 per la compagnia indipendente ZA/UM (del 2021 è il “Final cut”, inclusivo di recitazione di tutti i dialoghi, che è quello che ho giocato).

Diciamo subito che Disco Elysium è un classico moderno, uno dei migliori videogiochi di ogni tempo e financo una grande narrazione della nostra epoca, al pari coi suoi migliori romanzi e film. Perciò, chi ha una trentina di ore a disposizione può, e forse dovrebbe, fidarsi e fermarsi qui, dato che parlare nel dettaglio di un’avventura grafica implica spoiler, e questi spoiler diventano ancora più dolorosi nel caso di un’ambientazione hard-boiled, e quindi investigativa, come è il caso di Disco Elysium.

Facciamo subito chiarezza su questi termini. Avventura grafica è una definizione talmente desueta – in effetti è proprio il genere a essere desueto – che quasi ovunque Disco Elysium è listato come gioco di ruolo. Non è esattamente così: il gioco fa anche parte di quel nobile e quasi estinto filone che ci ha regalato Zak McKraken and the alien mindbenders, Leisure suit Larry in the Land of the Lounge Lizards, Shadow of the Comet, Loom, eccetera, eccetera. Le meccaniche da gioco di ruolo ci sono – nella creazione del personaggio e nel suo sviluppo, basato su un sistema a livelli, che ogni volta danno un punto spendibile in abilità o in “pensieri” (elementi di sviluppo interiore che danno ulteriori bonus), nonché nel sistema di risoluzione delle azioni –, e in effetti è grazie a esse che Disco Elysium rivitalizza il genere delle avventure grafiche, in fondo morto perché troppo statico per giocatori abituati a esperienze immersive molto più fluide e dinamiche.

Disco Elysium è un classico moderno, uno dei migliori videogiochi di ogni tempo e financo una grande narrazione della nostra epoca, al pari coi suoi migliori romanzi e film.

Tra l’altro, Disco Elysium si permette di non fare solo la storia delle avventure grafiche, ma anche dei giochi di ruolo, dato che, se il comparto caratteristiche è piuttosto usuale (intelligenza, psiche, fisico e destrezza, con le abilità relazionali a dividersi tra le prime due), così come è usuale quello dell’inventario (testa, collo, torso/braccia, gambe, piedi, un oggetto per mano, nulla di diverso da quel che presentava un Ultima), quando si entra nel campo delle abilità, che sono poi il cuore delle meccaniche di gioco, le cose cambiano. Le azioni vengono risolte con un roll di 2d6+char+skill rispetto a delle soglie di difficoltà, e anche qua niente di nuovo, ma lo skill set è un altro paio di maniche: sotto intelligenza abbiamo “logic”, “encyclopedia”, “rethoric”, “drama”, “conceptualization” e “visual calculus”; sotto psiche “volition”, “inland empire” (una sorta di intuizione metafisica), “empathy”, “esprit de corps” e “suggestion”; sotto destrezza abbiamo “hand/eye coordination”, “perception”, “reaction speed”, “savoir faire”, “interfacing” e “composure”; sotto fisico abbiamo “endurance”, “pain treshold”, “phisical instrument” (la forza, ma anche le sensazioni corporee), “electrochemistry” (il rapporto con le sostanze, ma anche quello tra il nostro corpo e il nostro sistema nervoso), “shivers” (una sorta di intuizione fisica, le “sensazioni di pancia”) e “half light” (l’istinto alla violenza): anche il corpo parla, e a volte, in Disco Elysium, lo fa letteralmente… Non il classico skill set, insomma, e anche il modo in cui funzionano le abilità è sorprendente, dato che agiscono davvero dentro di noi, a volte anche in conflitto tra loro. Com’è ovvio, ci sono abilità più o meno utili, ma non saranno pochi i momenti in cui il giocatore finirà per puntare su una prima sottovalutata, o scoprirà l’inattesa utilità di un’abilità in un contesto che si presumeva richiedere tutt’altra attitudine.

L’altra parola da chiarire è “hard boiled”, o se vogliamo noir investigativo, insomma il genere a cui appartiene Disco Elysium in termini narrativi. All’inizio, il nostro Harry parrebbe la classica parodia dell’investigatore chandleriano in trench, un duro segnato dai rovesci della vita, come se sono viste mille. Non è così. Per quanto Disco Elysium rimandi a quel filone – c’è un morto ammazzato, c’è un’indagine e c’è un contesto per lo più ostile a essa –, i suoi echi letterari arrivano anche da altre direzioni, su tutte i romanzi dei fratelli Strugackij, ma soprattutto la figura del protagonista Harriet Du Bois, detto Harry, detto Tequila Sunset, detto Raphaël Ambrosius Costeau, va oltre. Non solo perché è davvero più devastato di qualunque “broken detective” visto finora in romanzi, film o giochi, ma anche per il suo carattere: relitto del “New” (un’epoca esteticamente affine ai nostri Settanta e storicamente affine ai Novanta), incluse scarpe di coccodrillo verdi, calzoni a campana, giacca stazzonata e basette esagerate, alcolista (nonché appassionato di tutte le altre droghe) col fegato spappolato e il cuore in panne, al punto che può morire da un momento all’altro (in effetti a inizio gioco anche solo accendere la luce può ucciderlo) e il morale così sotto i tacchi (anzi il tacco, visto che all’inizio ha pure perso una scarpa) da essere sempre sull’orlo del suicidio, Harry è davvero messo male, ma cela anche una personalità complessa, ora istrionica, ora vittimista, ora fin troppo assertiva, che lo fanno uno dei personaggi più sfaccettati mai visti su uno schermo. E lo stesso vale per il suo partner, il razionale e un po’ rigido Kim Kitsuragi, che impareremo prima a detestare, poi a conoscere e infine ad amare… A meno di cambiare partner, ma questo è uno spoiler davvero eccessivo: lasceremo al giocatore esperto scoprire questa possibilità, abbastanza ben nascosta nel gioco.

Si arriva così a uno dei punti di forza più solidi di Disco Elysium, la caratterizzazione dei personaggi: quanto detto non vale solo per i protagonisti, e si fa presto a scoprire che ogni singolo comprimario, da quelli decisivi come il bambino delinquente Cuno, il sindacalista corrotto Evrart Claire o la spietata (ma cortese) emissaria del Capitale Joyce Messier, fino all’ultima delle comparse, è scritto benissimo e ha “alberi di dialogo” mai semplicistici, da cui emerge una personalità interessante anche quando a prima vista ci pare di aver davanti un cliché (ok, l’indiano venditore di cianfrusaglie è un cliché – ma di certo non lo sono le micidiali scarpe da ginnastica FALN “Ultra” Series reperibili al suo banchetto).

È un mondo ricco di echi alla nostra storia e geografia, ma non è una mera proiezione del mondo reale: è, piuttosto, un universo coerente, con una sua società, una sua religione e financo una sua metafisica, di sapore tarkovskiano.

Ciò a tratti potrebbe sembrare un difetto del gioco, perché in effetti tutti i personaggi hanno molto, molto da dire e da raccontare, e non smettono, di giorno in giorno, di avere pure nuove cose da dire. Insomma, Disco Elysium richiede di leggere un sacco, e specie nella prima parte si può avere l’impressione che sia inutilmente verboso. Del resto ci sono da leggere anche i libri, i testi di altro genere sparsi qua e là e le improvvise intuizioni enciclopediche del protagonista. Ma leggendo leggendo, parlando parlando, si comincia a capire di essere in un mondo vasto e complesso, di cui stiamo vedendo solo un pezzettino, lontano in periferia (ma un pezzettino molto importante per noi e per coloro che ci vivono): Martinaise, quartiere portuale di Revachol, una città di mare sulla grande isola di Le Caillou, di certo un posto che ha visto giorni migliori… E così si comincia a capire anche che il mondo di Disco Elysium assomiglia al nostro, ma non è il nostro. È un mondo ricco di echi alla nostra storia e geografia, ma non è una mera proiezione del mondo reale: è, piuttosto, un universo coerente, con una sua società, una sua religione e financo una sua metafisica, di sapore tarkovskiano (chi oserà avventurarsi nel pale?)… Siamo forse nel gioco con più lore rispetto alla durata (30 ore in media), ed è facile ritrovarsi a pensare, specie nella prima metà, che ce ne sia troppa, ma non è così: tutti i pipponi ideologici che dobbiamo sorbirci da comunisti mazoviani, ultra-liberali, fascisti vecchio stile, neo-razzisti e “moralisti” (a Revachol il termine indica una sorta di “grande centro”, attualmente al potere) trovano un senso non solo nel dar l’impressione della complessità del mondo in cui ci troviamo, ma anche rispetto al finale stesso del gioco e alle possibili scelte ideologiche del protagonista, che a loro volta non sono mera cosmesi ma possono influenzare la vicenda. 

Una simile profondità dell’ambientazione non può essere ovviamente casuale, ma non può essere neanche una semplice scelta della produzione: chi ha esperienza di giochi di ruolo vi riconoscerà subito un grado di dettaglio da home-concocted sourcebook, una quantità di materiali interconnessi che non può venire solo da un buon worldbuilding, ma da stagioni e stagioni di gioco al tavolo, e le cose stanno proprio così: Kurvitz aveva inventato il mondo di Disco Elysium per un gioco di ruolo portato avanti tra amici per anni, ci ha ambientato tra le altre cose un romanzo (ben accolto dalla critica, flop totale nelle vendite), e solo successivamente ha deciso di farne un videogame, trovando poi un significativo finanziamento che ha permesso di entrare in produzione – cosa relativamente rara, in Europa. E in effetti c’è anche questo: Disco Elysium è un gioco europeo, maledettamente europeo, che trasuda quel senso della storia – e quella malinconia della storia, e quella metafisica delle storia – che si può esperire solo nelle città del vecchio mondo, con le loro mille stratificazioni ad ammassarsi l’una sull’altra.

Girare per Martinaise è emozionante, e ciò anche grazie al lavoro sublime del comparto grafico, che non cede mai alla tentazione dell’effettone, ma costruisce, di stanza d’ostello in bancone di bar, di tabaccaio in negozietto, di condominio in baracca, di container in tenda in chiesa abbandonata, una poetica del decadimento coerente e visivamente sorprendente, grazie all’uso magistrale degli effetti di luce, dei cambi di clima e della funzione zoom in/out innestata nei comandi, il tutto in uno stile che ricorda la miglior pittura a olio contemporanea, su tutte quella di Jenny Saville (in effetti l’art director, Alexander Rostov, è un pittore). Assieme alle musiche della band indie British Sea Power (che avrebbero potuto essere di più, ma quelle che ci sono, sono all’altezza), la grafica intavola un dialogo a tratti straziante con la storia del gioco e col vissuto del personaggio, dando vita a un fortissimo afflato lirico che è uno degli elementi definitori del titolo, tanto più sorprendente se si considera che Disco Elysium è anche un gioco comico: si provi a non ridere rumorosamente di fronte alle uscite più balzane di Harry – e alle reazioni del suo posato partner Kim.

Disco Elysium è un gioco europeo, maledettamente europeo, che trasuda quel senso della storia – e quella malinconia della storia, e quella metafisica delle storia – che si può esperire solo nelle città del vecchio mondo, con le loro mille stratificazioni ad ammassarsi l’una sull’altra.

Eccoci così a un’altra caratteristica unica di Disco Elysium: non solo premia spesso il pensiero laterale e i comportamenti poco ortodossi – quando non proprio le azioni deliranti –, in linea con le caratteristiche del protagonista, ma costruisce linee di sviluppo anche sugli errori o sui roll falliti: per quanto, come è logico, ci siano azioni più “giuste” di altre rispetto alla risoluzione del caso o delle varie sub-quest, non di rado sbagliare apre a possibilità ed evenienze più interessanti – anche se magari più tragiche – di quelle che si avrebbero facendo tutto “bene”.

Si sarà inteso allora che Disco Elysium va giocato d’istinto, salvando il meno possibile, e rinunciando da subito alla tentazione del save scumming: la cosa che conta davvero, in questo gioco, sono le emozioni che si provano, e ce ne fa provare molte. Di giochi emozionanti ne abbiamo provati – sono emozioni anche la scaga di quando ti arriva in faccia un mostro in Resident evil, la rabbia contro Stalin che tradisce un trattato in Civilization (per tacere di certi tradimenti in GTA…) o l’estasi della velocità dopo aver azzeccato un filotto di curve in un qualunque gioco di guida – ma Disco Elysium ti fa provare emozioni prima impensate in un videogioco: l’umiliazione di essere messi sotto in una conversazione da un manipolatore, il rimorso per aver mandato in vacca una relazione importante, il progressivo cambiare idea su qualcuno, il gusto di chiudere gli occhi e ballare davanti a un soundsystem, quello di vestirsi in modo strambo e uscire tra la gente, la rabbia che dà prendere atto dell’ingiustizia intrinseca al mondo, financo l’emozione di sedersi su una vecchia altalena, in attesa che la marea cali e dall’acqua si riveli qualcosa… O, certo, pure la soddisfazione di tirare un pugno in faccia a un rompipalle, qualcosa che viene offerto da molti giochi, ma che qua, grazie a tutto il resto, ha un sapore differente… E non sto neanche a menzionare l’impatto di certi sogni e flashback, che si lasceranno scoprire al lettore.

Il fatto è che Disco Elysium trova la sua forza profonda nella digressività, nel fatto che, come nei grandi romanzi, le storyline secondarie possono apportare più significato all’opera nel suo complesso di quanto faccia la linea principale, una caratteristica portata tanto all’estremo che il senso stesso del titolo si scoprirà seguendo una side quest. Al di là di tutti gli altri meriti, è questo che rende davvero speciale Disco Elysium: è un’opera che guadagna l’empireo (non sono pochi quelli che lo definiscono il miglior videogioco di sempre: di certo è il videogioco meglio scritto di sempre, e un titolo che proietta la decima arte verso territori del tutto nuovi) rifiutando tutte le logiche che in genere determinano i progetti che richiedono, comunque, qualche milione d’investimento. E proprio per questo, nonostante il successo globale, Disco Elysium potrebbe restare unico: si pensava a un sequel, ma alcuni degli investitori subentrati successivamente hanno estromesso i creatori dal progetto, e adesso il potenziale franchise è oggetto di un contenzioso legale… Finale malinconico, se non deprimente, per un’opera così decisiva? Sicuro, ma anche molto Disco Elysium – e forse è meglio se ce lo teniamo così, come una gemma imprevista e irripetibile, a cui un sequel rischierebbe di far solo torti.

Scrittore e firma del Corriere della Sera. È autore di una raccolta di epigrammi, un saggio, un libro di poesie e dieci romanzi, gli ultimi dei quali sono "La verità su tutto" (Mondadori 2022) e "Dilaga ovunque" (Laterza 2023).