La storia, vera, di questo libro inizia il giorno in cui Douglas Rushkoff riceve l’invito a fornire una consulenza a cinque delle persone più ricche del pianeta, che intendono verificare la bontà dei diversi piani di fuga da loro elaborati per quando una catastrofe si abbatterà sul nostro pianeta. Se i multimilionari non si curano degli allarmi della comunità scientifica rispetto alla crisi ambientale né intendono ripensare una corsa indiscriminata al profitto divenuta ormai insostenibile è proprio perché, da lungo tempo, stanno progettando di fuggire al momento opportuno, lasciandoci qui, in un mondo divenuto invivibile.
Pubblichiamo, per gentile concessione di Luiss University Press, un ampio estratto dal capitolo 9 di Solo i più ricchi. Come i tecnomiliardari scamperanno alla catastrofe lasciandoci qui (2023) nella traduzione di Paolo Bassotti.
da Quants numero 2, maggio 2023
State guardando un TED Talk. Non importa quale. A parte qualche eccezione, in genere è indifferente. C’è un tizio in piedi sul tipico tappeto rosso rotondo che vi sta dicendo che tutto quel che sapete del mondo è sbagliato. Anche lui un tempo la pensava come voi, fino a quando un’epifania ha sconvolto le sue certezze. Ha avuto l’intuizione definitiva, capendo che non va per niente così, ma cosà. Il nero è bianco e il bianco è nero. Il sopra è sotto e il sotto è sopra. Oppure, se la sua intuizione è davvero speciale, la sinistra è destra, ma anche la destra è destra.Guardate le sue slide, ascoltate il suo racconto e gli consentite di negare quel che provate e che avete vissuto in prima persona e di proporvi la sua grande idea su come stanno le cose e soprattutto su come potrebbero andare. Gaslighting (“manipolazione psicologica”) per il vostro bene. Permettetemi per un attimo di distaccarvi dalla realtà delle cose e di farvi vedere il mondo dal regno platonico delle “idee da diffondere”. Diffondere e finanziare. Ecco l’idea che cambierà tutto, per tutti, una volta per tutte, di punto in bianco. Sono discorsi che hanno una forma ben precisa, ottimizzata tanto per l’effetto scenico quanto per captare i finanziamenti dei venture capitalist. Come un pitch da Shark Tank per le tecnologie che puntano agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU, il TED incarna l’approccio del Mindset al tentativo di migliorare il mondo:
- Non riuscire a risolvere un “brutto” problema in modo tradizionale;
- Prendere la pillola rossa per vedere la realtà in modo nuovo;
- Affrontare nuovamente il problema dopo aver architettato un nuovo sistema;
- Diffondere quella tecnologia a livello globale e salvare il mondo dalla sua natura oscura.
Forse è il più grande crimine commesso dal Mindset contro l’umanità: queste situazioni totalitarie perpetuano il mito che solo un’élite tecnocratica possa risolvere i nostri problemi. Ci distraggono e ci scoraggiano, impedendoci di cambiare davvero il modo in cui viviamo e dirottano i finanziamenti verso sciocchezze sesquipedali, il tutto continuando a rendere i ricchi ancor più ricchi. Ci pensano loro a risolvere i problemi dell’umanità, come se gli umani fossero il problema.
Ci distraggono e ci scoraggiano, impedendoci di cambiare davvero il modo in cui viviamo e dirottano i finanziamenti verso sciocchezze sesquipedali, il tutto continuando a rendere i ricchi ancor più ricchi.
Come la nascita di internet, il ciclo vitale di un tecno-salvatore comincia con un’iniziazione psichedelica, nella quale il nostro eroe prende la pillola rossa. Succede in genere al Burning Man, nato come un umile rituale improvvisato per il solstizio d’estate, al quale partecipava una trentina di persone, e diventato un festival nel deserto con 70.000 partecipanti. I burner, soprattutto i più ricchi, non dormono più in tende e sacchi a pelo, ma arrivano con camper dotati di aria condizionata, chef e servitù. Si discute molto sulla coerenza del Burning Man con la sua etica originale, ma il festival continua a essere molto psichedelico e ha reso l’assunzione di acidi, funghi ed enteogeni ancor più forti di un tempo una sorta di rito di passaggio per il dirigente tech illuminato.
Questi riti psichedelici di iniziazione per chi lavora nella Silicon Valley del Ventunesimo secolo sono l’equivalente dell’uso dell’alcol da parte dei dirigenti di media e pubblicità nella New York di metà Novecento. Ubriacarsi e molestare le donne non era solo un aspetto di una cultura del lavoro sciovinista, ma un sistema per dimostrare che non ci si faceva scrupoli a fottere i consumatori. Con le droghe psichedeliche i moderni dirigenti tech fanno vedere che sono disposti a riformattare il proprio hard drive e che hanno il coraggio di fare lo stesso al mondo intero. Sono pronti a riprogrammare l’umanità. Psichedelia e stranezze sono solo un mezzo giustificato da un fine. Come dice Eric Schmidt di Google: «Lo sanno tutti che vado al Burning Man. A decidere il futuro sarà chi ha una visione alternativa. E non sai mai dove potrai trovare nuove idee». La dedizione e la voglia di sperimentare sono tali che i dirigenti di serie A hanno creato un Burning Man tutto per loro, senza quel mucchio di artisti, musicisti e persone comuni che vogliono solo condividere un’esperienza creativa. Il Further Future Festival del 2016, per esempio, ha proposto una versione costosa dell’estetica del Burning Man nella quale gli imprenditori potevano prendere le stesse droghe immersi nel lusso e con l’esplicito scopo di fare affari. Tra i presenti all’edizione del 2016 c’erano Schmidt, Stan Chudnovsky di Facebook e il CEO di Clear Channel Bob Pittman.
Con le droghe psichedeliche i moderni dirigenti tech fanno vedere che sono disposti a riformattare il proprio hard drive e che hanno il coraggio di fare lo stesso al mondo intero. Sono pronti a riprogrammare l’umanità.
Presentato come «un’esperienza condivisa che va oltre il futuro», il presupposto del Future Festival era che solo quell’élite psichedelica arrivata a far festa sul territorio dei nativi americani avrebbe potuto risolvere i problemi del mondo. Come ha detto al Guardian il cofondatore Robert Scott: «Stiamo facendo una cosa importante, non ci stanchiamo di ripeterlo. Stiamo definendo il Futuro. Non solo queste persone sono in grado di farlo, ma sono anche le uniche che possono farlo» (corsivo mio). Proprio come quegli altri dirigenti ancor più avventurosi, che coi loro jet privati vanno in Messico o in Perù a prendere parte a cerimonie dell’ayahuasca con uno sciamano indigeno o uno psicologo new age (o con entrambi). Gli inviti a questi eventi – come quello che mi è arrivato proprio stamattina mentre scrivevo questo capitolo – sono sempre diretti a “leader” e “influencer” e promettono la presenza di ospiti “selezionatissimi”, per «far aumentare al massimo la consapevolezza nel minor tempo possibile».
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Non c’è niente di male in sé nel fatto che [queste persone, ndr] abbiano esperienze tanto potenti e vogliano poi evangelizzare il mondo, seppure per profitto. Qualunque siano le loro motivazioni, stanno comunque contribuendo alla diffusione di farmaci potenzialmente utili a chi soffre di depressione o di qualche dipendenza, oltre a nuovi strumenti per l’esplorazione della coscienza e della creatività. Ma è da ingenui pensare che un’esperienza coi funghi possa cambiare la natura di un affarista. Come ha spiegato Timothy Leary, la qualità e l’esito di un trip è dovuta alla mentalità con la quale lo si intraprende. Un imprenditore fatto di funghi è solo un imprenditore psichedelico. La cosa sorprendente, e molto diffusa tra chi condivide il Mindset, è che insistano a dire che l’esperienza psichedelica ha cambiato il loro codice di programmazione. Credono che al ritorno dal Burning Man, dall’Amazzonia o perfino da vacanze come il “Programma Ayahuasca Mastermind per i leader dell’imprenditoria”, offerto da Entrepreneurs Awakening, saranno persone nuove, in grado di offrire soluzioni senza precedenti all’umanità. Da quanto ho visto in prima persona, al ritorno fanno quel che facevano prima, solo con qualche giustificazione cosmica in più, magari cambiano i prodotti e le idee che smerciano, ma i metodi e le dinamiche sottostanti per vendere e guadagnare sono identici. La ricerca di una crescita esponenziale – in origine solo un assioma affaristico – diviene una filosofia di base e il sistema per salvare il clima e lo spirito di Gaia.
Gli inviti a questi eventi sono sempre diretti a “leader” e “influencer” e promettono la presenza di ospiti “selezionatissimi”, per «far aumentare al massimo la consapevolezza nel minor tempo possibile».
Nei casi peggiori tornano alle stesse pratiche scioviniste e di sfruttamento di prima, camuffate però dalla retorica sul cambiamento di mentalità. Per via dei miei vecchi libri sulla psichedelia come fondamento della cultura digitale, molti di loro mi contattano per chiedermi consigli o per farmi dare uno sguardo ad aziende, politiche e culture imprenditoriali, comunità. Del resto spesso le hanno create basandosi su idee che ho trattato nel mio lavoro. In genere prendo subito le distanze, ma a volte mi incuriosisco e cerco di capire che cosa hanno realizzato e se posso essere d’aiuto. Uno di questi network armati di buone intenzioni era stato lanciato con una serie di incontri per soli invitati a New York e San Francisco. Un paio di soci erano reduci da un trip con l’ayahuasca particolarmente intenso che aveva fatto loro capire di dover radunare i leader mondiali per aumentare la loro consapevolezza e affrontare il problema del cambiamento climatico. Sotto la supervisione di un monaco zen ingaggiato per l’occasione, gli ospiti condividevano i loro dubbi sulla propria sessualità, su come fare affari e sul proprio retaggio.
Dopo circa sei ore, finalmente avevano cominciato a parlare del tema previsto: la salvezza del mondo. Quel gruppo di menti illuminate avrebbe potuto condurre l’umanità a un futuro più verde e collaborativo? Condurre? Sul serio? Erano novizi della new age che avevano passato la vita come consulenti finanziari, brand manager o investitori tech. Trenta minuti dopo essersi risvegliati erano già pronti a guidare la rivoluzione. Uno ha proposto fondi azionari con un filtro per non investire in attività disdicevoli come le trivellazione o la produzione di sigarette, senza sapere che la Calvert e Ariel Investments facevano lo stesso dagli anni Settanta e che chiunque ormai, dalla Nuveen alla BlackRock, propone pacchetti di investimenti responsabili. Un’altra proponeva un approccio al cambiamento climatico più trendy e più consapevole dei media, per coinvolgere i giovani. Le ho parlato di quelli di Extinction Rebellion (XR), all’epoca accampati sui ponti londinesi, e del Sunrise Movement, che stava organizzando una protesta a qualche isolato di distanza; oppure avrebbe potuto sostenere il Post-Carbon Institute e EarthRights International, che già proponevano strategie attuabili per l’azione politica. «Ma se sono così bravi,» mi ha chiesto qualcuno «perché non li ho mai sentiti nominare?». Riecco il Mindset. Perché dare il proprio appoggio a un’iniziativa già in atto quando se ne può inaugurare una nuova? Naturale che un fanatico del Web 2.0 si domandi: perché cercare di risolvere i problemi del mondo quando possiamo costruire un WeWork, uno spazio di coworking, e farlo fare agli altri?
Ma è da ingenui pensare che un’esperienza coi funghi possa cambiare la natura di un affarista. Come ha spiegato Timothy Leary, la qualità e l’esito di un trip è dovuta alla mentalità con la quale lo si intraprende. Un imprenditore fatto di funghi è solo un imprenditore psichedelico.
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La propria trasformazione diventa il punto di riferimento per la trasformazione di tutto e tutti, tramite il denaro, con lo scopo di stabilire un dominio gamificato e sussiegoso su chi è escluso dall’isola dei privilegiati. Nessuno sa vendere questi approcci “dirompenti” come la Singularity University, azienda trans-formativa per vocazione, di consulenza e formazione dei dirigenti. Come spiega la SingularityU nel suo materiale promozionale, il suo focus è il sostegno a soluzioni che usano «tecnologie esponenziali» per risolvere «le grandi sfide globali». Sono interessati solo a sostenere «imprenditori e start up che sognano in grande». Non c’è crimine peggiore del pensiero lineare, che consente solo miglioramenti incrementali. Bisogna invece pensare in modo sfacciato, per «puntare a migliorare le cose di almeno 10 volte», sfidando così lo status quo. Come Elon Musk, che è passato da zero a uno, o il loro eroe Ray Kurzweil, passato dalla clonazione degli esseri umani a quella delle loro menti, chi vuole salvare il mondo deve cercare soluzioni che siano un ordine di grandezza oltre le idee dei comuni mortali. È sempre questione di leadership. Un “imprenditore leader” che diventa membro premium della Singularity University può imparare a «vedere e dominare il futuro». Gli individui che hanno il coraggio di «migliorare le vite di miliardi di persone» possono prendere parte al programma executive della SU, apprendere il «potere del pensiero esponenziale» e «sfruttare il potere delle tecnologie esponenziali per avere un impatto positivo su scala planetaria». A tale scopo, hanno indetto la gara XPRIZE, che offre 100 milioni di dollari alla miglior soluzione per il carbon removal (“rimozione dell’anidride carbonica”). Un progetto apparentemente a prova di guastafeste, con sostenitori come Richard Branson, Buzz Aldrin, Tom Hanks e Pharrell Williams. L’ottimismo all’ennesima potenza di SingularityU è contagioso. Perfino la MacArthur Foundation, in genere con la testa noiosamente sulle spalle, ha proposto un assurdo mega-premio annuale da 100 milioni di dollari per la miglior proposta per risolvere uno dei problemi della nostra epoca (senza lasciare neanche le briciole agli altri che hanno passato un anno a lavorare su un’idea da proporre al “team di esperti” della MacArthur). Il Mindset si basa su un assunto fallace, perché vuole salvare il pianeta “giocando a fare Dio”. Ci obbliga a un salto evolutivo, ad architettare una sorta di Big Bang per fare in modo che l’intero universo si conformi alla volontà esponenziale della nostra specie e dei suoi investitori più influenti. Questa forma mentis – onnipresente tra i grandi filantropi – pervade anche i tentativi meno arroganti di combattere fame, diseguaglianze e inquinamento, come se valesse la pena di parlare solo di soluzioni definitive e universali, riassumibili in un TED Talk.
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Il problema è che non viviamo su una tabula rasa. Qui è pieno di persone. E di uccelli, alberi, pietre e batteri che a malapena comprendiamo. Un modello del genere non coglie l’amara ironia del dover radere al suolo una foresta in nome della sostenibilità. Certo, la natura è nei guai, ma l’approccio del Mindset a questa crisi collettiva è sempre quello di fare qualcosa: modificare, ripartire, sviluppare, ingigantire, automatizzare. Come se fare di meno o non fare del tutto non fossero opzioni possibili. Riparare quanto abbiamo, ridurlo o perfino limitarci a un progresso incrementale non ci darà il materiale giusto per un grande podcast, per un bel panel online o per un TED Talk. Così come non richiede enormi investimenti di capitale, vendite di azioni o quote di partecipazione.
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Il problema è che non viviamo su una tabula rasa. Qui è pieno di persone. E di uccelli, alberi, pietre e batteri che a malapena comprendiamo.
La ferma volontà di lasciarsi il passato alle spalle, di voltare pagina e passare dal Game A al Game B funziona meglio su carta – o su una Playstation – che nella vita reale. Tipico di una cultura che vuole salvare il futuro dimenticandosi del passato e della sua eredità. Non c’è tempo per pentirsi o porre rimedio, tutti ci devono seguire nel futuro migliore che stiamo architettando. Si parte da zero. Tabula rasa. Un nuovo pianeta, ecovillaggio o sistema operativo sociale: abbiamo una app che fa al caso nostro ed è già parte dell’offerta che proponiamo. Chi critica i rimedi tecnologici o la cultura dei maschi bianchi che li hanno generati viene liquidato come un luddista paranoico o uno stupido woke, ossessionato dalle colpe del passato e incapace di osservare il quadro generale del quale facciamo tutti parte. Non dobbiamo però lesinare le critiche al sempre più dominante paradigma tecnocratico e al suo approccio deterministico al macro-progresso nel timore di fare arrabbiare i brillanti uomini che in buona fede cercano di attuarlo. Il primo a mettere in guardia l’America dai rischi dell’industria tecnologica non è stato un retrogrado hippy woke, ma il presidente Eisenhower. Il suo discorso d’addio del 1961 viene ricordato per quel che disse a proposito del complesso industriale militare, ma la cosa che temeva di più era la tecnocrazia: «Col dovuto rispetto alle scoperte della scienza, dobbiamo prestare altrettanta attenzione al pericolo opposto: che la politica possa diventare preda dell’élite scientifico-tecnologica».
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La spinta tecnocratica, adottata in modo acritico da un’élite omogenea, porta in genere a due esiti. Nel peggiore, viene utilizzata dai leader per costruire uno Stato di sorveglianza totalitario nel quale i privilegi di ogni cittadino vengono decisi dagli algoritmi, sulla base dei dati personali raccolti. L’esito alternativo prevede una tecnocrazia più progressista, destinata però a soccombere ai bias utilitaristi delle tecnologie impiegate e a dimenticarsi suo malgrado di persone e cose non considerate in partenza.
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La convinzione che si possa salvare il mondo a colpi di codici informatici presume che il mondo sia fatto di codici e che tutto quel che non lo è, prima o poi, sarà convertito in formato digitale.
La convinzione che si possa salvare il mondo a colpi di codici informatici presume che il mondo sia fatto di codici e che tutto quel che non lo è, prima o poi, sarà convertito in formato digitale. Una volta trasformati in dati tutti gli elementi del problema, potremo usare la tecnologia per risolverlo. Purtroppo così ci lasciamo alle spalle tutto ciò che non può essere convertito in codice. È una corsa a scansionare, digitalizzare o formattare in linguaggi compatibili con le tecnologie che orchestrano le nostre libertà. E perfino le soluzioni al problema della troppa tecnologia in genere prevedono l’ingresso di ulteriore tecnologia nelle nostre vita e il dover imparare a ottimizzare i nostri comportamenti col suo intervento. Ci conformiamo alla struttura di ricompense dell’ambiente tecnologico nel quale viviamo, adattandoci sempre più a qualunque sistema operativo ci venga richiesto dalle nostre tecnologie e dai miliardari che le controllano.
[…]Non si può sfuggire alla tecnopoli, soprattutto se si vive per servirla e se si è diventati miliardari aiutandola a dominare il mondo. Ecco perché un tecnopolista che va nella foresta pluviale e si ubriaca di visioni finirà per esperire soltanto la sua visione dell’“unità delle cose” e con pervicacia da zelota vorrà riprodurla in grande stile nel mondo intero. Ed è così che noi umani finiamo per vivere nel Mindset. Farci sottomettere ai suoi valori è la loro missione.