In mostra alla Pinacoteca Agnelli di Torino, l’immaginario perverso e sarcastico di Lee Lozano è raccolto in Strike, ambizioso progetto monografico – il primo in Italia – che ci immerge nella breve ma prolifica ricerca della rivoluzionaria artista americana.
da Quants numero 4, luglio 2023
Lenore Knaster nasce a Newark, nel New Jersey, alle 16:25 del 5 novembre 1930. Più avanti dichiara apertamente che quell’orario e quella data di nascita sono «il suo unico vero nome». Nel 1944, a quattordici anni, decide di assumere il nome maschile di Lee, come «rifiuto dell’ossessione femminile tradizionale della classe media americana», primo passo verso la messa in discussione della propria identità che da lì a pochi anni diventerà parte integrante della sua breve ma intensa carriera artistica: dal cambiare nome, allo sfidare i meccanismi produttivi del sistema dell’arte in una società all’epoca fortemente patriarcale e alquanto conservatrice, fino a forzare i limiti del suo stesso corpo, rifiutando ogni forma di ordine costituito, per boicottare e infine abbandonare definitivamente il panorama artistico nel 1972, dopo dodici anni di frenetica sperimentazione. Come ha ricordato successivamente la critica d’arte Lucy Lippard, che nel 1995 ha elogiato l’artista come la più importante esponente donna della corrente concettuale del suo tempo, «il tipo di cose che gli altri facevano come arte, lei le faceva veramente come vita – e ci è voluto un po’ di tempo per capirlo davvero».
Dopo la laurea in Scienze Naturali e Filosofiche presso l’Università di Chicago nel 1951, si sposa nel 1956 con l’architetto messicano-americano Adrian Lozano e ne adotta il cognome che manterrà anche successivamente al divorzio, avvenuto nel 1960. Dopo il conseguimento di un altro titolo di studi all’Art Institute di Chicago, Lozano si trasferisce a New York all’inizio degli anni Sessanta, entrando in un circuito molto vivace e stringendo amicizia con gli artisti Carl Andre, Robert Morris, Richard Serra, Sol LeWitt e Dan Graham e con galleristi e mercanti d’arte come Richard Bellamy. Da subito diventa una tra le figure più innovative della scena artistica newyorkese di quegli anni. Nutrendosi di pop art, minimalismo e arte concettuale, correnti coeve al suo arrivo nella Grande Mela, il lavoro di Lozano – che da una matrice pittorica approda in soli dieci anni a una pratica esclusivamente concettuale basata sulla parola e il linguaggio, per toccare nella sua evoluzione l’espressionismo pop, il fumetto, la qualità fisica ed energica del disegno e l’astrazione minimalista seriale – resta un unicum nel suo genere. La ricerca di Lozano è infatti alquanto refrattaria, poliedrica e difficilmente inquadrabile in una categoria univoca. Nelle sue opere si possono rintracciare somiglianze con artisti americani attivi negli anni Sessanta come Philip Guston e Claes Oldenburg, soprattutto per la stilizzazione fumettistica e le qualità espressioniste tipiche di alcuni lavori degli esordi, ma anche con Adrian Piper e Vito Acconci per la visione comune più legata al concettuale, e con un’altra artista, Agnes Martin, la quale alla fine degli anni Sessanta, sperimenta un’estetica minimalista in un contesto simile a quello nel quale opererà Lozano e che, come lei, decide di abbandonare la scena artistica newyorkese per trasferirsi nel 1967 a Cuba in cerca di solitudine, proprio quando il suo lavoro stava cominciando a ricevere attenzioni dalla critica e dal mercato americani.
«Trasformati in un gas, in una carica elettrica, in potenza. Implodi fino a diventare piccola come un fagiolo. Diventa di plastica, diventa di ottone e arrugginisciti. Galleggia, oppure vola. Rendi più ruvida la superficie del tuo corpo e rotola nella segatura per riscaldarti, elimina i vestiti. Ora gioca tu. Ridisegna te stessa per adattarti a te stessa. Non comprare cose/servizi per cambiarti».
«Trasformati in un gas, in una carica elettrica, in potenza. Implodi fino a diventare piccola come un fagiolo. Diventa di plastica, diventa di ottone e arrugginisciti. Galleggia, oppure vola. Rendi più ruvida la superficie del tuo corpo e rotola nella segatura per riscaldarti, elimina i vestiti. Ora gioca tu. Ridisegna te stessa per adattarti a te stessa. Non comprare cose/servizi per cambiarti. Pensa a te stessa come in un nuovo stato di esistenza», si legge negli scritti di Lozano.
Figura pioniera e dalla visione radicale, apprezzata tardivamente dalla critica e ancora oggi poco conosciuta in Europa, Lozano mette in atto una rivoluzione che è tanto personale quanto politica, e la fa in maniera diretta e spesso sfacciata, dandoci del ‘tu’ o puntando il dito verso specifici ambiti lavorativi, per lo più sessisti e dominati da uomini, mercato dell’arte compreso. È così che non sorprende scoprire quanto in alcuni suoi lavori la lettura del contesto circostante sia restituita in maniera tagliente , come nel pastello su carta Ass kisser (1962), dove la faccia di un manager in giacca e cravatta è sostituita da un sedere intento a fumare una sigaretta, oppure notare che in un piccolo disegno quella che fuoriesce dalla zip di un paio di jeans è proprio una chiave inglese, a simboleggiare tanto un fallo, quanto un esplicito riferimento allo strumento di lavoro che alcuni colleghi tutti uomini (come Morris o Serra) stavano iniziando a utilizzare come attrezzo nella propria pratica artistica.
Identità, questioni di genere, strutture di potere e di controllo, corpi, macchinari, oggetti, tools e labour sono tutti soggetti e preoccupazioni che ricorrono con frequenza nella pratica di Lozano e che vengono esplorati, “maneggiati” ed interpretati attraverso un linguaggio dove parole, pun, testi e immagini fanno emergere con urgenza le tensioni tra un mondo reale, spesso violento, e un mondo immaginario – proprio come facevano i surrealisti – rendendo visive le emozioni e mettendo in discussione ciò che è privato e ciò che è arte. Il confine è labile e sottile. Il tutto alimentato da un registro spesso sarcastico e da un metodo processuale «meticolosamente ordinato o scandalosamente caotico». Da notare come la produzione dell’artista sia anche specchio di una tensione e una serie di frustrazioni personali tra il suo posizionamento di critica del sistema e il rifiuto quasi categorico nel sostenere forme collettive e organizzate di antagonismo.
Il vocabolario visivo e la memoria di Lozano sono stati raccolti per la prima volta in Italia in una mostra monografica intitolata Strike, ospitata negli spazi torinesi di Pinacoteca Agnelli fino a luglio 2023. Curato da Sarah Cosulich e Lucrezia Calabrò Visconti, il progetto si sposterà a Parigi, alla Bourse de Commerce – Collezione Pinault, a settembre 2023. Messo in scena tematicamente e in ordine prevalentemente cronologico nelle sette sale della Pinacoteca, l’immaginario dell’artista è qui esplorato attraverso un’ampia selezione di opere che offrono uno scorcio trasversale sulla sua breve ma estremamente prolifica carriera, dal 1960 al 1972. Il rigoroso allestimento è articolato infatti in un percorso che si apre rendendo omaggio al mondo polimorfo e perverso del primo periodo legato soprattutto alla figurazione espressionista condensata nei disegni e nei dipinti, passando per la serie dei Tools (attrezzi), oli su tela di grandi dimensioni, e seguendo la loro trasformazione formale verso un’astrazione minimalista definita come «evoluzione necessaria del profondo desiderio di accedere alla materia e di restituirne la densità», terminando con la produzione esclusivamente concettuale che raccoglie un numero importante di “Life-Art” Pieces (noti anche come Language Pieces), istruzioni o descrizioni di esperimenti che risalgono principalmente al 1969, fase conclusasi nel 1972 con Dropout Piece, corrispondente alla sua decisione di lasciare la scena artistica.
Identità, questioni di genere, strutture di potere e di controllo, corpi, macchinari, oggetti, tools e labour sono tutti soggetti e preoccupazioni che ricorrono con frequenza nella pratica di Lozano e che vengono esplorati, “maneggiati” ed interpretati attraverso un linguaggio dove parole, pun, testi e immagini fanno emergere con urgenza le tensioni tra un mondo reale, spesso violento, e un mondo immaginario.
Inserendosi nella rinnovata missione di Pinacoteca Agnelli – edificio progettato da Renzo Piano in una struttura denominata ‘Scrigno’, sospesa sul tetto del Lingotto a Torino e inaugurata nel 2002 per conservare e valorizzare la storica collezione di opere storiche donate alla città da Giovanni e Marella Agnelli – questa mostra, insieme anche alla precedente esposizione monografica dedicata all’artista svizzera Sylvie Fleury, ha l’obiettivo, tra gli altri, di «portare alla luce una prospettiva artistica inedita in relazione all’eredità storica e simbolica della sede espositiva e del suo passato industriale». Con lo stesso spirito è nata anche La Pista 500, un progetto di installazioni ambientali outdoor pensate in dialogo con il circuito collocato anch’esso sul tetto e che la fabbrica FIAT utilizzava per il collaudo delle auto. Tra gli artisti recentemente invitati, Nina Beier, Dominique Gonzalez-Foerster, Nan Goldin, Cally Spooner, VALIE EXPORT e Louise Lawler.
Dichiarato omaggio all’importanza che Lozano dedica all’uso del linguaggio e ai giochi di parole, il titolo della mostra condensa diverse sfumature di significato che la parola “strike” porta con sé: non solo prende spunto dal General Strike Piece (1969) (visibile come documento sotto forma di xerografia collocata all’inizio del percorso espositivo, l’opera è composta da una serie di istruzioni che l’artista inizia a impartire a se stessa l’8 febbraio 1969) – uno dei più importanti lavori testuali di Lozano, nonché il suo primo sciopero dal mondo dell’arte, legato anche a una riflessione più ampia e personale sulla dimensione sociale, emotiva e politica del tempo – ma si riferisce anche all’atto dello scioperare che per l’artista è tanto un «rigetto del lavoro impostole dal capitalismo, dal patriarcato e dalla società», quanto una forma di astensionismo dal forte carattere politico e rivoluzionario. Alludendo all’atto di colpire e attaccare, spesso connotato da azioni violente e incontrollabili, il titolo gioca anche con il sostantivo “stroke”, ovvero pennellata o tocco, sottintendono al fatto che il pennello può agire sulla tela come un corpo o un’arma.
Entrando in mostra, non si può restare inermi davanti all’energia sprigionata dai disegni di Lozano, i cui tratti a grafite e pastello colorato fanno emergere un insieme di forme reali e immaginarie che sembrano lottare tra loro. Installate come all’interno di un microcosmo onirico e visionario, queste opere sono schizzi preparatori su carta e disegni di natura più autonoma realizzati dal 1959 al 1964, testimonianza genuina della transizione dalle prime esercitazioni accademiche, agli esperimenti degli anni di inserimento nel clima artistico newyorkese. La rappresentazione del corpo umano è qui restituita attraverso la sua relazione emotiva o violenta con l’ambiente circostante. Smembrati, penetrati e lacerati, i corpi si relazionano con oggetti, beni di consumo e materiali di scarto che si possono incontrare in ambienti industriali o per strada. Il ritratto del sesso maschile, allusivo o esplicito, realistico o caricaturale, sembra qui rispondere per l’artista «all’erotizzazione del corpo femminile, evidenziando come il nudo maschile sia un grande assente nei nostri immaginari collettivi», a partire dalla storia dell’arte, fino alla più recente cultura visiva.
La seconda sala presenta una serie di dipinti coevi ai disegni, dove il tratto espressionista della matita viene sostituito da una pennellata altrettanto energica e densa dove la materia pittorica si manifesta come «un composto solido, sporco e viscerale che si sovrappone alla produzione organica del corpo». Tra i lavori esposti, si ricorda un’opera che cita chiaramente L’orgine du monde (1866) di Gustave Courbet. Fedele alla sua visione, Lozano trasforma però la rappresentazione realistica del nudo femminile in una scena al limite del surreale: l’apertura della vulva è segnata da un rettangolo nero verticale che indica la fessura di una macchina a gettoni dove una mano guantata sta per inserire una moneta con incisa la scritta ‘Liberty’. Ancora una volta, l’artista ci restituisce in maniera personalissima l’interpretazione del topos modernista della meccanizzazione e dell’immedesimazione tra corpo e macchina con un immaginario estremo e alquanto perturbante.
Messo in scena tematicamente e in ordine prevalentemente cronologico nelle sette sale della Pinacoteca, l’immaginario dell’artista è qui esplorato attraverso un’ampia selezione di opere che offrono uno scorcio trasversale sulla sua breve ma estremamente prolifica carriera, dal 1960 al 1972.
Procedendo in mostra, si attraversa la sezione dedicata ai Tools, disegni di medio e grande formato dove visioni pornografiche si mescolano e sovrappongono con slogan commerciali e giochi di parole, retaggio della prima ondata pop, nonché modalità ereditata dai cartelloni pubblicitari che in quegli anni tappezzano la città. Tra i soggetti rappresentati, una macchina da scrivere – oggetto per eccellenza associato alla figura femminile della segretaria – diventa un’arma contro il fallocentrismo: l’organo sessuale maschile è infatti appiattito fino a fungere da foglio inserito tra il rullo meccanico e i tasti della macchina che si “animano” magicamente, indicando azioni e non lettere: “work”, “think”, “fuck”, “sleep”. Nel biennio 1962 e ’64 lo “sfruttamento” di questi corpi-oggetti arriva a un limite tale da trasformarli definitivamente in attrezzi da lavoro. Le tele di grandi dimensioni alle quali Lozano si dedica in questo periodo ritraggono infatti arnesi come martelli, viti e morsetti completamente esplosi sulla tela e ingigantiti: oggetti antropomorfi le cui forme assumono una forza monumentale unica. Si sovrappone temporalmente a questa produzione una serie di opere su carta e tela che vede come unici soggetti aeroplani e rielaborazioni di oggetti volanti che interagiscono con orifizi ed altre parti del corpo come bocche, orecchie e nasi fallici che si tramutano in rampe di lancio per piccoli jet. La fase successiva vede la graduale trasformazione delle campiture dei Tools e degli Airplanes in forme autonome che rinnovano attraverso l’elemento astratto quell’energia densa che i lavori di Lozano hanno sempre cercato. Per quasi tutti i dipinti realizzati in questo periodo, il titolo scelto dall’artista è un verbo: Spin, Clamp, Shoot, Swap, astraendo la rappresentazione fisica dei Tools a un grado di puro linguaggio ed azione.
A conclusione della mostra, una serie di diari o “private books” che Lozano scrive dal 1968 al 1970 sono la traccia che sintetizza l’ultimissima fase della sua carriera, marcata dalla completa sovrapposizione tra pratica artistica e vita, come testimoniano i “Life-Art” Pieces (Grass Piece, Dialogue Piece, General Strike Piece) in gran parte risalenti al 1969, e che consistono in annotazioni, appunti e istruzioni per azioni, tutti da inquadrare in continuità con una certa critica verso formati d’arte tradizionali e che altri artisti, seppur in maniera divergente da Lozano, stavano sperimentando negli stessi anni.
Questo avvio verso l’auto-esilio vede anche l’abbandono del nome di Lee Lozano nel 1971, gesto di liberazione identitaria verso la leggerezza. Si fa ribattezzare “Lee Free”, che in seguito viene abbreviato in “E”. Nel 1972 con Dropout Piece saluta la scena artistica, facendo scomparire le sue tracce fino al 1982 quando viene ritrovata in Texas nella casa dei genitori, dove resta fino al 1999, anno della scomparsa. La sua lapide è rigorosamente anonima, senza nome e senza un “io”.
«Pensa a te stessa come in un nuovo stato d’esistenza».